La domenica mattina, a Bologna

La domenica mattina, a Bologna, c’è quiete in centro. La proporzione gente/rumore è diametralmente opposta a quella che, una manciata di ore prima, si poteva rilevare in via del Pratello.

La domenica mattina, a Bologna, in piazza Maggiore, c’è Beppe Maniglia. Con la sua chitarra elettrica, la sua Harley-Davidson ultra-30enne (ma ha avuto anche una Ducati, sapevatelo) e l’aria da rock-star immortale che conquista vecisbarbi.

La domenica mattina, a Bologna, c’è sempre qualche busker a cui dai volentieri un soldino, dalla musicista con i burattini al gruppo italo-latinoamericano con tanto di impianto audio da concerto.

La domenica mattina, a Bologna, c’è chi si alza presto per andare a San Luca. Chi corre o cammina fino in cima e chi si ferma a metà, per leggere, studiare o, semplicemente, pensare.

La domenica mattina, a Bologna, c’è il signore con il chow-chow di fronte all’Archiginnasio.

La domenica mattina, a Bologna, c’è chi parla male di Bologna. La ZTL, Merola, Colombo, la movida, la differenziata porta a porta… Poi esce dal bar, guarda le torri e la “zona T” pedonalizzata ed è di nuovo felice di vivere a Bologna. Infine, parla male di Modena e/o dei modenesi.

La domenica mattina, a Bologna, c’è sempre qualcuno vestito di rossoblù, sia che si giochi contro la Juve nel pomeriggio, sia che il campionato sia fermo. La maglia del Bologna sette giorni su sette.

La domenica mattina, a Bologna, c’è sempre qualcuno con la sciarpa della Virtus o la felpa della Fortitudo. I “bavosi” navigano nella mediocrità da 8 anni, i “piccioni” nelle serie minori da 6 anni, ma il basket, per i petroniani, è una cosa dannatamente seria.

La domenica mattina, a Bologna, i cantieri sono quasi tutti chiusi. Così gli umarell possono dormire.

La domenica mattina, a Bologna, è bello esserci.

Virtus 2008/09 – Redde rationem: singoli

Giocatori, in rigoroso ordine numerico.

Sharrod Ford: devastante l’anno scorso a Montegranaro, altalentante quest’anno a Bologna. Mette in mostra tutti i suoi pregi (immarcabile se riceve in pick and roll, stoppatore disumano, capace di ricevere passaggi ad altezze siderali grazie alla sua esplosività, buon raggio di tiro), ma anche tutti i suoi difetti (assenza pressochè totale di movimenti spalle a canestro, subisce nei duelli fisici con pari ruolo più grossi, tende ad addormentarsi sui tagliafuori, a saltare alla prima finta in difesa e a commettere falli evitabili in poco tempo). Boniciolli lo vede come 4, ma lui dimostra di trovarsi meglio da centro. Con l’ingaggio che percepisce, avrebbe dovuto essere più costante. Esemplificativo il fatto che chiuda al primo posto nelle classifiche di rimbalzi (9.5), stoppate (1.4) e falli fatti (3.2). Io l’avrei tenuto, ma pare che Sabatini voglia monetizzare con il suo buyout liberandosi anche di un ingaggio pesante.
Petteri Koponen: alla prima esperienza fuori dalla natia Finlandia dimostra di essere un giocatore ancora molto acerbo. In difesa offre un buon contributo, ma in attacco appare molto timido, soprattutto quando si tratta di attaccare la difesa schierata. Il talento c’è e si vede, forse gli gioverebbe un anno in prestito in una squadra da classifica medio-bassa.
Brett Blizzard: con l’arrivo di Boniciolli si trova ai margini delle rotazioni, chiede la cessione, si pente. viene reintegrato ma, almeno in campionato, non va mai oltre i 9 punti in 19′ nel derby di ritorno. Si riaccende nei playoffs, dove tira con il 52% da 3, ma ormai è tardi. Dall’infortunio nella finale scudetto contro Siena non sembra più quello della sua prima stagione bianconera, l’impressione è che con le nuove regole sui passaportati il suo futuro sia lontano da Bologna. Peccato, mi è sempre piaciuto ed ormai era un veterano.
Jamie Arnold: buco nell’acqua. Arriva alla Virtus per cifre importanti portando con sè un ottimo bagaglio di esperienza ad alto livello in Europa, prima col Maccabi poi con l’Hapoel Jerusalem, ma non è mai incisivo. Boniciolli lo sposta nello spot di centro ma la musica non cambia, a gennaio viene tagliato per far posto a Terry.
Alex Righetti: grandi attese su di lui dopo l’ottimo campionato ad Avellino, dove si è affermato come uno dei migliori italiani del campionato. In difesa lavora bene, ma in attacco delude molto: dimezza la sua media punti e non infila mai i canestri pesanti (tranne che in due occasioni). L’arrivo del suo mentore Boniciolli gli aumenta il minutaggio ma non la valutazione: a sua parziale discolpa, va detto che viene utilizzato in un ruolo non suo. Con la penuria di italiani di livello in circolazione non è però escluso che possa rimanere.
Earl Boykins: i 3,5 milioni di dollari di ingaggio lo rendono il giocatore più pagato di sempre in Serie A, i suoi 164 cm ufficiali quello più basso. Reduce da 11 anni di NBA, arriva come il giocatore che dovrebbe fare la differenza e così è, in effetti: quando gira, la Virtus vince, quando non gira, spesso e volentieri perde. Alterna momenti di estasi cestistica a corazzate Kotiomkin di fantozziana memoria, arrivi ad amarlo ed un momento dopo a volerlo sottoporre a torture medievali. Inguardabile nei playoff, dove chiude con un orripilante 11/48 dal campo. Aria.
Guilherme Giovannoni: non è più decisivo come un tempo e a questi livelli a volte pare inadeguato, ma in campo dà sempre tutto quello che ha, motivo per cui i tifosi della Virtus vorrebbero a referto altri 11 come lui. Per questo (e per i problemi di falli ed infortuni dei lunghi bianconeri), di riffa o di raffa, i suoi minuti riesce sempre a guadagnarseli. Il suo agente propone cifre irrazionali per il rinnovo, cosicchè viene silurato anzitempo; Sabatini lascia la porta aperta in caso di ripensamento, è possibile che Gui faccia di tutto per rimanere.
Roberto Chiacig: parte come quarto lungo ma si trova a disputare minuti importanti, soprattutto con Boniciolli che, almeno all’inizio, lo promuove a centro titolare. L’età avanza inesorabile e si vede, ciononostante risponde sempre presente e il suo contributo lo dà (quasi) sempre. Purtroppo, ormai, più di un quinto lungo non potrà essere.
Keith Langford: arrivato in sordina e solo perchè dopo l’addio di Bynum serviva uno che attaccasse il canestro, diventa il giocatore chiave della squadra e viene votato come terzo miglior cestista del campionato. Difensore sublime, penetra nelle aree avversarie come Rocco Siffredi nelle (vabbè ci siamo capiti), segna canestri irreali in equilibrio precario, regala ai fotografi schiacciate da NBA Action, la mette dall’arco, finisce 13° nella classifica degli stoppatori nonostante sia una guardia di 193 cm e, non pago, viene nominato MVP della finale di Eurochallenge. I tifosi lo adorano e il sentimento è ampiamente ricambiato, gli è stato rinnovato il contratto ma non è detto che non verrà sacrificato sull’altare del bilancio, magari in una big europea. Io, comunque, dico solo questo.
Dusan Vukcevic: vive del suo tiro da 3, che mette a segno il 44% delle volte, ma alterna serate da 1/7 ad altre da 4/4. Quelli pesanti, comunque, tende a metterli, specialmente la bomba a 2′ e 20” dalla fine che regala alla Virtus il derby di ritorno e a lui, nativo di Sarajevo come Danilovic, un posto nella hall of fame bianconera. Io lo terrei.
Reyshawn Terry: parte fortissimo, dando alla Virtus quell’atletismo che mancava, poi anche lui inizia ad avere un andamento sinusoidale, dimostrando preoccupanti limiti difensivi. Strepitosa gara 1 di playoff, poi una fastidiosa periostite lo mette KO. Peccato, davvero.

Staff

Renato Pasquali: la sua conferma lascia perplessi in molti e il suo esonero alla quinta giornata, dopo due sconfitte che puzzano di sciopero, non fa certo ricredere i suoi critici. Il suo merito più grande è l’aver voluto fortemente Langford, ma in fondo anche sul resto non ha grandi colpe, il suo destino pareva segnato già dall’inizio.

Matteo Boniciolli: secondo alcuni era l’obiettivo primario già in estate dopo il miracolo avellinese dell’anno precedente, il matrimonio ritardato gli consegna una squadra non sua e così è difficile. Parte con 7 vittorie di fila, poi si mette in testa che il miglior centro della stagione scorsa non è adatto a giocare da centro e retrocede Giovannoni nello spot di 3 dove ha sempre sofferto; in seguito si cosparge il capo di cenere, porta la squadra in finale di Coppa Italia, alla vittoria di Eurochallenge e al secondo posto. Dopo la coppa, però, la squadra crolla e certe sue scelte lasciano perplessi; chiede un rinnovo faraonico, viene silurato.
Claudio Sabatini: il personaggio è quello, nel bene e nel male, inutile tentare di cambiarlo, prendere o lasciare. Però certe cose come i casi Blizzard e Boykins potevano essere trattati in maniera meno mediatica e certe sue "sparate" gli stanno alienando molti consensi tra i tifosi, ossia coloro che pagano il biglietto per entrare alla Futurshow Station. In pochi credono che cederà la Virtus, ancora meno quelli che pensano ad una squadra con obiettivo-salvezza, comunque andrà mi permetto di dare tre piccoli consigli a colui che ci ha salvato nel 2003: lavare più spesso i panni sporchi in casa propria, ingaggiare il prima possibile il nuovo allenatore, lasciare che siano lui e il GM Faraoni a costruire la squadra. Chiedere di più sarebbe, forse, chiedere troppo.

PS nella colonna di sinistra, ho iniziato ad aggiornare la sezione "viaggi" con le foto della vacanza-studio a Miami del 2004, la mia prima con fotocamera digitale. Le immagini sono su Picasa (porqué Picasa es mi casa), se ne avete voglia dateci un occhio.

Virtus 2008/09 – Redde rationem: squadra

Mercato: dopo la fallimentare stagione 2007/08, con la salvezza matematica raggiunta alla quartultima giornata, Claudio Sabatini sente di essere in debito con i tifosi e non bada a spese per costruire una squadra competitiva. Restano solo Blizzard, Giovannoni e Chiacig, ritorna Vukcevic ed iniziano gli arrivi altisonanti: Sharrod Ford da Montegranaro, Alex Righetti da Avellino, Will Bynum dal Maccabi e Jamie Arnold dall’Hapoel Jerusalem (che a fine gennaio verrà tagliato, al suo posto verrà ingaggiato Reyshawn Terry da Soresina). Poi però Bynum si avvale della clausola NBA Escape prevista dal suo contratto ed accetta l’offerta dei Detroit Pistons, compiaciuti dalle sue prestazioni in Summer League. Dopo l’arrivo di Keith Langford da Biella, lo spot di playmaker viene affidato a Earl Boykins, 11 anni di NBA nonostante i suoi 164 cm di altezza, che diventa il giocatore più pagato del campionato e, in teoria, quello che dovrebbe essere il go-to-guy. Infine, viene ingaggiato come sua riserva Petteri Koponen, ventenne finlandese scelto al primo giro dai Philadelphia 76ers nel draft 2007. In panchina viene confermato Renato Pasquali e questa è forse la mossa che suscita più perplessità tra i tirosi. L’obiettivo ufficiale è tornare a bazzicare nelle zone di alta classifica e guadagnare la licenza triennale di Eurolega.
Campionato: la Virtus chiude al quinto posto, ma a 3 giornate dalla fine il secondo pareva solidissimo: la sconfitta esterna con Montegranaro e il suicidio interno contro Treviso costano alle V nere il vantaggio del campo e il lato playoff con Siena. Squadra dai risultati altalenanti, capace di vincere a Milano rimontando 22 punti di svantaggio in 15 minuti come di perdere in casa con Treviso dopo che si è stati sul +16, di battere Roma, seconda classificata, tre volte su tre come di prenderne 35 da Pesaro, ottava classificata. Si è perso di 25 contro Rieti, terzultima, e si è arrivati ad un soffio dal battere lo schiacciasassi senese per ben due volte, complici alcune fischiate al limite dell’inverecondo. La squadra ha pagato le prestazioni sotto le aspettative di Arnold. Koponen e Righetti, l’incostanza di Ford, Terry e Boykins, un atteggiamento mentale inconcepibile, se miri ad alti traguardi, e le numerose grane: l’esonero dopo sole cinque giornate di Pasquali, gli esperimenti del nuovo coach Boniciolli, la richiesta di cessione di Blizzard e il successivo pentimento, il taglio di Arnold e la tragicomica fuga di Boykins con minacce di taglio ed azioni legali per poi reintegrarlo con multa. Il risultato è sicuramente inferiore alle aspettative di inizio stagione ed al potenziale mostrato durante il campionato.
Coppa Italia: terza sconfitta in finale consecutiva tra le mura amiche, anche stavolta condita da polemiche. Come contro Avellino l’anno prima, un arbitraggio contestatissimo influenza una partita che la Virtus conduceva ad un minuto dal termine e regala a Siena la prima Coppa Italia dell’era Pianigiani. Grande rammarico, ma fischiate a parte sono l’esperienza e la forza di un gruppo consolidato a fare la differenza nei minuti finali.
FIBA Eurochallenge: finalmente una vittoria. C’è chi l’ha chiamata la "coppa del nonno", ma se si guarda l’albo d’oro della competizione e il livello delle squadre partecipanti all’ultimo torneo si capisce subito come questa definizione sia fortemente sbagliata. In ogni caso, come ha detto giustamente Boniciolli, a fine stagione solo 3 squadre possono dire di aver vinto qualcosa a livello europeo e la Virtus è tra queste. Inoltre, visto che si torna a vincere una coppa europea dopo 8 anni di astinenza e si riapre la bacheca chiusa da 7 anni, non mi sembra il caso di fare gli schizzinosi. Anche nella finale contro Cholet, comunque, si rischia il disastro: di 11 lunghezze di vantaggio, la Virtus ne perde 10 per strada durante l’ultimo quarto, fa 1/4 ai liberi e ringrazia De Colo che tira da 3 per la vittoria ma non prende neanche il ferro.
Playoff: fuori al primo turno, 3-2 contro Treviso, tre sconfitte esterne, due vittorie interne. Non si può non pensare al vantaggio del campo perso all’ultima giornata, proprio contro i trevigiani, e quel fallo di Boykins che ha regalato a Bulleri i 3 liberi del pareggio, al cui confronto la scelta di candidare Rutelli a sindaco di Roma pare quasi vincente. Ad aggiungere ulteriore rammarico, l’inaspettata eliminazione dei capitolini contro una sorprendente Biella avrebbe consegnato alle V nere l’agognata licenza triennale in caso di passaggio del turno; inoltre, le due vittorie casalinghe sono state abbastanza nette da far pensare che, a fattore campo invertito, si sarebbe giunti agilmente in semifinale (quest’anno solo Biella e Siena hanno espugnato il PalaVerde). Ma visto che "se mia nonna aveva il pisello era mio nonno" (cit. Ruud Gullit) questi calcoli non hanno senso. Stagione finita ed Eurocup, sempre che si decida di prendervi parte.
Prospettive: nella famigerata conferenza stampa, Sabatini ha annunciato che la Virtus è in vendita e che, in caso non si trovasse un compratore, si costruirà una squadra dal budget limitato, siccome lui non è un magnate e il bilancio dell’anno scorso, chiuso con 2 milioni di passivo, è un’eccezione che non si ripeterà.  Ormai non si sa più quando prenderlo sul serio e quando no, anche l’anno scorso fece lo stesso proclama e com’è andata l’avete appena letto. Comunque, sono stati silurati il GM Luchi, l’allenatore Boniciolli e il capitano Giovannoni, questi ultimi due per le eccessive pretese economiche dei loro agenti, anche se a Gui è stato offerto di rimanere a cifre "umane". È tornato Massimo Faraoni, GM della promozione del 2005 e ottimo talent scout, mentre, nonostante la conferenza stampa sopracitata, pare essere arrivato Andre Collins, playmaker della rivelazione Ferrara nonchè terzo miglior marcatore del campionato (17,5 punti di media in 33,5 minuti con il 47,4% da 2 e il 40,4% da 3) e pare che si seguano giocatori interessanti come Jerebko e Antonutti. Ancora nessuna novità sull’allenatore e questo genera in me le maggiori perplessità: come dimostrato quest’anno, sarebbe bene prima firmare un coach poi, a seconda delle sue idee, tuffarsi sul mercato. A breve, le mie valutazioni sui singoli protagonisti.

Un altro rinvio

Avrei voluto, in seguito alla dolorosa eliminazione di ieri sera, fare il pagellone finale della Virtus 2008/09. Oggi, però, dal sito della Virtus, imparo che sono stati silurati coach Boniciolli, il GM Luchi e, soprattutto, capitan Giovannoni. Imparo inoltre che, domani pomeriggio, Claudio Sabatini parlerà su Futurshow Station alle 17.30: fino ad allora, ogni mio giudizio, così come ogni mio intervento sul blog, verrà sospeso.

NBA Finals – Game 4

Le finali NBA sono un ottimo incentivo a scrivere sul blog: ho appena finito di vedere gara-4 e mi accingo a commentarla. Dovrebbe essere lapalissiano che se non volete spoiler sulla medesima dovreste rinviare la lettura di questo post a dopo aver visto la partita.
In uno Staples Center gremito di tifosi e di vip (compreso il grande deluso Spike Lee, forse per vedere il protagonista del suo He Got Game), va in scena il quarto atto della sfida per l'anello tra Celtics e Lakers, con la squadra del Massachussets in vantaggio 2-1. Ci tengo a specificare quanto sopra perchè dall'inizio della partita non si direbbe proprio: a fine primo quarto i Lakers sono in vantaggio di 21 punti, grazie ad uno strepitoso Odom da 13 punti con 6/6 al tiro. I Celtics sono totalmente in bambola, le precarie condizioni di Rondo incidono ma non possono essere nè un alibi nè una spiegazione plausibile: con tutto il rispetto per il giocatore, reduce da un'annata strepitosa, se in squadra hai quei 3 lì, non puoi dipendere da Rajon Rondo. Infatti Pierce e Garnett sono due fantasmi e Allen si vede solo brevemente all'inizio e alla fine della frazione. Non migliorano le cose ad inizio secondo quarto, LA continua a tirare come se il canestro fosse una vasca da bagno (cfr. Flavio Tranquillo) e Boston come se fosse un portachiavi: la tripla di Vujacic a metà tempo (saranno gli unici 3 punti della sua partita) porta i lacustri al massimo vantaggio, +24. Evidentemente questo numero ha qualcosa di nefasto: in gara-2 Boston raggiunse il medesimo scarto, poi si fece rimontare fino a +2 e fu abbastanza fredda ai liberi per portare a casa la W, in gara-4 dalla bomba dell'ex Snaidero Udine in poi la partita cambia radicalmente. Doc Rivers cambia schema, opta per lo small ball con Garnett e 4 "piccoli" e la scelta sembra pagare: l'ingresso di Posey, che già nel 2006 a Miami aveva cambiato le sorti della finale, modifica l'inerzia della partita e, grazie anche ai primi segni di vita di P-square, in meno di 4 minuti lo svantaggio è dimezzato. Fisher e Gasol cercano di tamponare la rimonta bostoniana e in parte ci riescono: mantengono a 14 il vantaggio losangelino, che diventa +17 quando Jordan Farmar da UCLA segna un buzzer beater da 3 per chiudere la prima metà di gioco. Nel terzo quarto la rimonta di Boston inizia a farsi seria: i Big Three iniziano a giocare sul serio e il supporting cast, composto dal già citato Posey e da un sorprendente Eddie House, non è da meno. Se poi aggiungiamo che i Lakers iniziano a litigare con il ferro e che, dopo 36 minuti, Kobe Bryant è ancora fermo a 2 canestri dal campo, a mente fredda non sorprende che a 12 minuti dal termine il vantaggio dei californiani sia ridotto a 2 miseri punti. Inizia l'ultimo quarto: 2 minuti di siccità offensiva bipartisan, poi arriva il canestro di Leon Powe a completare la rimonta della franchigia biancoverde, parità a quota 73. Finalmente entra in partita l'MVP della regular season: dopo l'ottima difesa dei Celtics su di lui, volta principalmente a impedirgli la ricezione dei passaggi, Kobe decide di tornare quello di una volta, quello che fa tutto da solo. I risultati sono altalenanti, ma i suoi canestri impediscono a Boston di passare in vantaggio, almeno fino a 4' dalla sirena, quando il jumper di House porta la squadra del New England al primo vantaggio della partita: 84-83. Lo scarto sale fino a 5 punti, LA prova a reagire con Bryant, Fisher e Gasol, ma Pierce e soci ribattono colpo su colpo ai canestri gialloviola, così si arriva con il medesimo distacco a 40" dalla fine della partita: Kobe attira su di sè la difesa e serve il suo centro catalano che schiaccia, portando i Lakers a un solo possesso di svantaggio. Palla a Boston, si cerca di far passare il cronometro mentre in difesa si punta a non fare fallo; Allen palleggia controllato da Vujacic, il quintetto piccolo è schierato sull'arco dei 3 punti e ognuno di loro è marcato a vista dal rispettivo difensore. Il numero 20 in biancoverde sa benissimo cosa succede in queste situazioni: l'area è vuota e, se si riesce a battere l'uomo subito sul palleggio, l'aiuto difensivo quasi sicuramente arriverà troppo tardi. Detto fatto, sloveno bruciato e lay up sigilla-vittoria ad anticipare l'inutile tentativo di aiuto da parte di Gasol. 3-1 Celtics.
Che partita! E dire che mi era anche transitato per l'anticamera del cervello, sul +24 Lakers, che sarebbe stata una partita noiosa con i gialloviola ad amministrare il vantaggio e, soprattutto, le energie in vista dello spareggio di gara-5, anche perchè Boston fino a quel momento era stata veramente inguardabile. Poi mi sono subito ricordato che, come accennato in precedenza, Boston neanche una settimana prima ha rischiato di perdere una partita che vinceva di 24. Mi era sopraggiunto anche un altro ricordo: 3 aprile 2001, semifinale di Eurolega, gara-3, derby di Bologna, 2-0 Virtus. Nella prima partita della serie al PalaDozza, l'ultimo quarto si aprì con la Fortitudo sul +18: mentre (quasi) tutti avevano già la testa a gara-4, c'era ancora qualcuno che pensava "non è ancora finita". In 8 minuti costoro piazzarono un parziale di 25-1 e resisterono al disperato tentativo di rimonta di Myers e compagni. Finì 74-70 per le V nere, con Flavio Tranquillo che commentava "Incredibile,  imprevedibile, impossibile, inaspettata vittoria della Kinder"; di lì a poco Ginobili e compagni avrebbero affrontato in un'epica finale il Tau Vitoria, vincendo 3-2 e portando a casa la seconda Eurolega della loro storia, ultima vittoria di un'italiana nella Champions League del basket. Ma questi sono, purtroppo, tempi andati…
Prestazioni dei singoli: nei Celtics bene i Big Three (Pierce 20p 7r 6/13; Garnett 16 p 11r 7/14; Allen 19p 9r 9/11) nonostante il pessimo inizio, decisivi dalla panchina Posey (18 punti con 4 pesantissime triple) e, anche se in misura minore, House (11). Tra i Lakers Odom (19+10) parte fortissimo per poi spegnersi, Gasol (17+10) e Fisher (13) non si arrendono mai, solo 14 i punti dalla panchina (3 punti con 1/9 per quel Vujacic che ne aveva fatti 20 in gara-3). Che dire di Kobe? Doppia doppia (17+10 assist) ma un pessimo 6/19 dal campo (0/2 da 3), tre quarti da non pervenuto e nell'ultimo quarto i suoi egoismi e le sue forzature hanno spesso fatto più danni che altro. A proposito: che numero di canotta porta Bryant?