Piste&Pistoni – Formula 1 2022: cosa succede, cosa aspettarsi

Sono passati 136 giorni da quando Max Verstappen ha vinto il Mondiale 2021, mettendo a referto il secondo nome diverso da “Lewis Hamilton” nell’albo d’oro del campionato Piloti dell’era turbo-ibrida (vi assicuro che Diego Fusaro non c’entra niente), ovvero gli ultimi 7 anni. È stato un campionato estremamente emozionante e controverso, molto più dei suoi immediati predecessori e anche di certi altri finali al fotofinish. Per chi fosse vissuto su Marte l’anno scorso, un riassunto: Verstappen e Red Bull dominano l’inizio di stagione, Hamilton e Mercedes recuperano il gap in corso d’opera, i due si scontrano (fisicamente) a Silverstone, a Monza e a Jeddah e arrivano ad Abu Dhabi con esattamente gli stessi punti in classifica. L’olandese guadagna la pole il sabato con le gomme morbide, l’inglese è secondo con le medie, puntando sul fatto che il circuito degli Emirati usuri molto gli pneumatici. Al via, Hamilton sopravanza Verstappen, che lo contro-attacca alla curva 6 con una manovra molto aggressiva (in caso di doppio ritiro, avrebbe vinto lui il Mondiale grazie al maggior numero di gare vinte); c’è un leggero contatto, l’inglese taglia la curva e torna in pista davanti. Hamilton non viene penalizzato (neanche indagato) e la strategia delle gomme si rivela presto vincente, visto che quelle di Verstappen cedono presto, consentendo all’inglese di prendere un rassicurante vantaggio. Max si ferma ai box dopo 13 giri (su 58) e monta le gomme dure, Lewis lo imita il giro dopo. Nonostante l’altra Red Bull, guidata da Sérgio Pérez, faccia perdere un sacco di tempo (quasi 10″!) a Hamilton in fase di sorpasso, quest’ultimo riesce a riconquistare un buon vantaggio, visto che la Mercedes è sempre stata nettamente la miglior macchina in regime di gomme dure. Al 35° giro, si rompe il cambio sull’Alfa Romeo di Antonio Giovinazzi: l’italiano è costretto ad abbandonare l’auto a lato del circuito e la gara entra in regime di virtual safety car. La Red Bull, sull’orlo della disperazione, richiama Verstappen per una seconda sosta e gli monta delle gomme nuove, sempre con mescola dura: l’olandese recupera terreno su Hamilton, ma a un ritmo troppo blando per impensierirlo. Il vero colpo di scena avviene a 5 giri dalla fine: la Williams di Nicolas Latifi sbanda, finisce contro il guard rail e il suo rottame rimane in pista. Safety car inevitabile e distacco tra i duellanti potenzialmente azzerato. “Potenzialmente”, perché la Red Bull richiama Verstappen per una terza sosta e gli monta le gomme morbide, più performanti. Rientra in pista conservando la seconda posizione, ma tra lui e Hamilton, nel serpentone dietro alla safety car, ci sono 5 auto doppiate. Peraltro, con così pochi giri rimanenti, non è da escludersi che si rimanga così fino alla fine, come successo nel 2012. Dopo una serie di dichiarazioni contraddittorie e la pressione esercitata sia da Red Bull che da Mercedes sulla direzione di gara, si arriva così al gran finale: a 2 giri dal termine, viene concesso alle sole 5 vetture sopracitate di superare la safety car e di accodarsi al gruppo (normalmente, prima di far ripartire la gara, questa possibilità è concessa a tutti i doppiati) e si lascerà a Hamilton e Verstappen un unico giro di lotta per decidere il Mondiale. Come nel celebre meme con Giovanni Storti, la situazione è ora ribaltata: l’inglese ha la posizione in un circuito in cui sorpassare è notoriamente arduo, ma l’olandese ha gomme più morbide e fresche e un lungo rettilineo a disposizione. Hamilton prova tutti i trucchetti, rallentando quasi a passo d’uomo nelle ultime curve per cercare di raffreddare le gomme di Verstappen, ma, con una mossa quasi a sorpresa, Max lo passa alla curva 5, il tornantino prima del sopracitato rettilineo. Lewis non ha DRS (per regolamento, si può utilizzare solo dopo 2 giri dopo la partenza o il rientro della safety car ai box), ma riesce comunque a prendere la scia al rivale e ad attaccarlo sia in curva 7 che in curva 9. L’olandese resiste (zigzagando al limite della regolarità sul rettilineo), vince la gara, vince il Mondiale.

Una gara estremamente controversa che chiude una stagione estremamente controversa. Accuse reciproche, giochi sporchi, difformità di giudizio (Hamilton che causa un pericolosissimo incidente a Silverstone: 10″ di penalità. Vettel sulla cui macchina non si riesce a estrarre il quantitativo minimo per le analisi: squalifica. Ok) e il sospetto che la FIA (o chi per lei) abbia deliberatamente usato pesi e misure differenti per arrivare al gran finale di Abu Dhabi e restituire attrattività mediatica a uno sport che, con un pilota che vince 6 degli ultimi 7 campionati (di cui nessuno all’ultima gara) e una scuderia che addirittura fa en plein, è in piena crisi di audience. Inoltre, il 2021 sarebbe dovuto essere il primo campionato svolto sotto un regolamento decisamente rivoluzionario: secondo Adrian Newey, direttore tecnico della Red Bull, da 35 anni in Formula 1 e uno dei maggiori innovatori della storia di questo sport, quello slittato al 2022 causa pandemia sarà la più grande rivoluzione dal 1983 a oggi. Andiamo a vedere perché.

L’aspetto tecnico – il problema che da anni si cerca di risolvere è quello della cosiddetta “aria sporca”, ovvero la turbolenza aerodinamica che l’auto davanti crea all’auto dietro, facendole perdere deportanza, surriscaldandole le gomme e (in misura minore) aumentando l’usura delle parti meccaniche. È un po’ come quando due persone entrano in una stanza passando da quelle tende con perline di legno, chi entra per secondo sarà infastidito dal movimento delle suddette causato dal passaggio della prima persona. Questo, ovviamente, rende più difficoltosi i sorpassi e il nuovo regolamento diventa molto più stringente su cosa si può e non si può fare con le ali anteriori e posteriori, finora principale fonte di carico aerodinamico (e di aria sporca) per le vetture da F1. In compenso, viene reintrodotto l’effetto suolo tramite la reintroduzione di diffusori (ufficialmente vietati, appunto, dal 1983, ma più o meno truffaldinamente usati dalla Brawn GP nel 2009). Se la deportanza è come avere una mano che spinge la macchina verso il basso, l’effetto suolo è come una ventosa che ti risucchia verso l’asfalto. Durante i test pre-stagione, però, molte macchine hanno mostrato un effetto collaterale di questa innovazione, il cosiddetto porpoising. In poche parole, l’effetto suolo generato dalle nuove vetture aumenta fino al punto da generare una situazione di stallo, in cui tutta la deportanza finora generata si azzera. Venendo a mancare la “ventosa” sopracitata, la macchina si alza improvvisamente, ma, alzandosi, ricomincia a generare effetto suolo e si abbassa nuovamente. Questo ovviamente genera stress fisico per i piloti e meccanico per la macchina. Chi riuscirà a risolvere per primo questo problema avrà indubbiamente un significativo vantaggio.

Altri cambiamenti significativi riguardano l’aumento della dimensione dei cerchioni, da 13″ a 18″ (quindi 15 cm in più – il sistema imperiale è una merda, ma anche da noi le dimensioni dei cerchi si esprimono in pollici, sicché…). Questo ovviamente ha delle conseguenze sugli pneumatici che, riassumendo al massimo, dovrebbero avere da un lato più difficoltà a entrare in temperatura, ma, dall’altro, una minore tendenza al surriscaldamento, con degrado più graduale e meno accentuato, senza quei crolli di prestazione che abbiamo visto soprattutto con gomma morbida negli anni precedenti. Da non sottovalutare anche il fatto che le termocoperte, usate per scaldare le gomme ferme (prima della partenza, al box ecc…), sono state standardizzate e verranno del tutto abolite dal 2024. Ci sono stati anche altri cambiamenti, come i nuovi combustibili che contengono il 10% di bioetanolo (percentuale che verrà presumibilmente aumentata nel futuro), ma i principali sono questi.

Il budget cap – introdotto già l’anno scorso, impone un limite massimo di spesa fissato a 140 milioni di dollari per tutte le scuderie, con una riduzione di 5 milioni per il 2023 e poi si vedrà. Se pensiamo che negli ultimi anni ci sono state scuderie che hanno speso anche il triplo di quella cifra, si tratta di un cambiamento epocale. La F1 è di proprietà di Liberty Media, americani (dica!), e forse questo può aiutare a capire le loro decisioni. Quello di partire alla pari è un pilastro fondamentale della cultura sportiva di oltreoceano, come si vede dal salary cap presente nelle grandi leghe pro. Da un lato, non sempre questo sistema ha consentito alle squadre inferiori di “risorgere” e competere per la vittoria finale. Per fare un esempio, in NBA ci sono 2 squadre (Boston Celtics e Los Angeles Lakers) che si sono equamente divise 34 dei 75 campionati finora disputati. Dall’altro, sempre usando la NBA come paragone, è dal 1966 che una squadra non riesce a vincere più di 3 campionati consecutivi e l’ultimo three-peat risale a 20 anni fa. Anche in ambito motorsport, sia nella NASCAR (l’evento sportivo più seguito negli USA dopo il Super Bowl) che in IndyCar, si punta molto sul far correre auto che siano il più simili possibile. Se guardiamo solo alla stagione 2021, in NASCAR ci sono stati 12 diversi vincitori nelle 26 gare di stagione regolare (sì, anche la NASCAR ha i playoff), mentre bisogna andare indietro di 10 anni per trovare un campionato di F1 con più di 5 piloti capaci di vincere almeno un GP (6 nel 2012). Aggiungiamo che, dall’inizio dell’era turbo-ibrida (2014), su 160 GP disputati, ben 140 sono stati vinti o da una Mercedes o da una Red Bull. Questo piano di contenimento dei costi ha anche innescato alcuni eventi interessanti. Ad esempio, la Ferrari, abituata a spendere cifre ben superiori, ha deciso che, dal 2023, investirà parte di quei soldi che non può più dedicare alla F1 per partecipare in prima persona al WEC, il Campionato Mondiale Endurance (quello della 24 ore di Le Mans, per intenderci), nella nuova categoria hypercars. Si tratta di un grande ritorno, per una scuderia che ha costruito i suoi fasti proprio nell’antenato di quel campionato. Al WEC avrebbe dovuto partecipare anche il gruppo Volkswagen, che però ha recentemente “congelato” il programma. La ragione ufficiale è stata il concentrarsi sullo sviluppo dell’Audi per la Dakar, ma voci sempre più insistenti vogliono il colosso tedesco in F1 dal 2026, addirittura con due scuderie (sul modello Red Bull/Alpha Tauri) con i marchi Porsche e Audi. Piccolo excursus: personalmente, l’idea del budget cap mi trova favorevole o, quantomeno, non pregiudizialmente contrario. Una volta però stabilito che c’è un tetto ai costi uguale per tutti, avrei concesso molta più libertà alle squadre su come spendere quei soldi. Per esempio, avrei liberalizzato nuovamente i test privati e rimosso la contingentazione delle parti (invece quest’anno anche gli scarichi saranno limitati a 3 per tutto l’anno).

I partecipanti – le 10 scuderie che parteciperanno al Mondiale saranno esattamente le stesse dell’anno scorso. Vedrete solo, per le prime due gare, la Alpine colorata di rosa come la Racing Point del 2020 perché avrà lo stesso sponsor (gli austriaci della BWT).

Per quanto riguarda i piloti, i cambiamenti sono stati pochi ma significativi. Si è ritirato Kimi Raikkonen (su cui farò un post, ovviamente, visto che è uno dei miei piloti preferiti di sempre) e il suo posto in Alfa Romeo è stato preso dal connazionale Valtteri Bottas, stufo di fare da scendiletto per Hamilton (e, guarda caso, senza il suo contributo ha perso il Mondiale. Chi l’avrebbe mai detto? Io, per esempio). Il sedile vacante in Mercedes, come ampiamente previsto, è andato a George Russell, 24enne inglese da 5 anni legato alla scuderia di Brackley/Stoccarda e da 3 “parcheggiato” alla Williams. Il ragazzo è molto talentuoso e dubito che abbia voglia di fare il Bottas per un 37enne: considerando la storica insofferenza di Hamilton per i compagni di squadra competitivi, quella in Mercedes è una coppia potenzialmente esplosiva. Il posto di Russell in Williams è stato preso da Alexander Albon, 26enne tailandese già visto tra il 2019 e il 2020 su Toro Rosso e Red Bull e ancora legato ai “bibitari” (cit. Turrini). L’ultimo cambiamento in griglia sarebbe dovuto essere l’esordio del 23enne cinese Guanyu Zhou (周冠宇) al posto di Giovinazzi, conseguenza diretta della minore influenza esercitata dalla Ferrari sulla Sauber tramite lo sponsor Alfa Romeo. Ho usato il condizionale perché, a causa della guerra in Ucraina, la Haas ha rescisso il suo rapporto con lo sponsor russo (e “putiniano”) Uralkali e, di conseguenza, con Nikita Mazepin. Al suo posto, è stato ingaggiato Kevin Magnussen, 30enne danese con 6 anni di esperienza in F1 tra McLaren, Renault e proprio Haas, con cui ha corso dal 2017 al 2020. Visto che questo paragrafo si chiama “i partecipanti”, è però doveroso segnalare come tra essi non figuri più Michael Masi, direttore di corsa dal 2019 a poche settimane fa, quando è stato rimosso dal suo incarico. Come scritto, sicuramente la sua condotta durante la scorsa stagione (e in particolare nell’ultimo GP) è stata più che discutibile, ma è curioso notare come una decisione così netta non sia stata mai applicata nella storia della F1. Quando, nel 2015, evidenti negligenze dell’allora direttore Charlie Whiting portarono all’incidente che causò la morte di Julien Bianchi, nessuno pensò di sospenderlo e l’inglese mantenne il suo ruolo fino alla sua morte, nel 2019. Non illudetevi: la Mercedes, direttamente o tramite lo sponsor Aramco, ha ancora un potere di influenza molto significativo, quindi mettete pure in preventivo altri “trucchetti” come quelli visti negli ultimi anni.

Cosa aspettarsi – dai test di Barcelona e Bahrain sono emerse, sostanzialmente, 10 vetture molto diverse l’una dall’altra. Lo “scenario NASCAR” pare quindi scongiurato, ma al momento è impossibile avere un’idea di chi sia favorito su chi. Molti hanno girato con potenze del motore limitate e/o con ampi carichi di benzina, si sono cercate molte più informazioni su affidabilità e passo gara che sulla prestazione pura e alcune squadre (soprattutto i top teams) hanno probabilmente nascosto ai rivali il loro vero potenziale. Addirittura, la Mercedes si è presentata in Bahrain con una vettura molto diversa e molto più “estrema” rispetto a quella che ha girato in terra catalana, generando una serie di polemiche da parte dei rivali per delle presunte irregolarità, legate soprattutto agli specchietti retrovisori, i cui supporti sarebbero in grado di fornire ulteriore carico aerodinamico, nonostante il regolamento dica che la loro funzione debba essere unicamente strutturale. Tornando on topic, nonostante le regole siano state fatte con l’idea di portare equilibrio, uno scenario come quello del 2009, accennato in precedenza, non è da escludere del tutto. Ricordiamo che, in quella stagione, la neonata Brawn GP (che, guarda caso, è l’antenata dell’attuale Mercedes) sbaragliò la concorrenza utilizzando un doppio diffusore dalla liceità quantomeno discutibile. Il caso vuole, peraltro, che il suo allora team principal, quel Ross Brawn a cui sono legati i molteplici trionfi di Michael Schumacher, sia ora il direttore generale della F1, nonché una delle persone atte a verificare il rispetto delle norme tecniche. Si può, timidamente, ipotizzare che Mercedes e Red Bull restino le forze egemoni e che la Ferrari, dopo anni di buchi nell’acqua e gli ultimi 2 spesi a ribadire che si era concentrati sul 2022, possa provare a fare da terzo incomodo. In questo senso, sono stato colpito dalle parole di Mattia Binotto, solitamente apoteosi della prudenza, che ha rilasciato dichiarazioni molto soddisfatte riguardo l’andamento dei test in pista. Impareremo le prime verità questo sabato verso le 17, quando si saranno concluse le qualifiche del Bahrain, e qualcosina in più il giorno dopo, al termine del GP. Qualcosina, appunto: l’idea è che i valori e le gerarchie possano mutare durante l’anno, con le scuderie che, nonostante il budget cap, cercheranno di adattarsi a questo scenario radicalmente diverso e alle sfide che emergeranno. Tutti noi appassionati vogliamo un campionato avvincente per i valori espressi in pista e non pilotato artificialmente con le buffonate viste l’anno scorso. Ovviamente, la maggior parte di noi vuole anche rivedere la Ferrari competere per le prime posizioni, perché “fate disegnare a un bambino una macchina da corsa e lui la colorerà di rosso” (Enzo Ferrari) e perché “tutti sono tifosi della Ferrari, anche se dicono di non esserlo” (Sebastian Vettel).