(continua da qui)
Mondiale 2010, quindi. In termini di regolamento, le novità maggiori sono 2: l’abolizione dei rifornimenti di carburante in gara e l’introduzione di un nuovo sistema di punteggio. Dal 10-8-6-5-4-3-2-1 si passa al 25-18-15-12-10-8-6-4-2-1. L’idea, aumentando significativamente lo scarto tra il primo e il secondo, è quella di spingere i piloti a osare di più per la vittoria. In pratica, però, con 25 punti al vincitore e punti per le prime 10 posizioni, rimanere a secco anche solo una gara ha effetti potenzialmente devastanti, quindi l’effetto generato è diametralmente opposto. Vettel domina il primo appuntamento in Bahrain, almeno fin quando una candela difettosa lo costringe ad accomodarsi appena fuori dal podio. Alonso diventa così il sesto pilota nella storia della Ferrari a vincere il GP di esordio. Nelle prime 6 gare, comunque, regnerà l’equilibrio, con altrettanti cambi al vertice della classifica Piloti. Ciononostante, è chiaro come sia la Red Bull la favorita per il Mondiale. In qualifica è imprendibile, anche se in gara soffre di qualche problema di affidabilità. In Cina, dopo un ottimo 2° posto a Barcellona, Alonso parte 3°, brucia le Red Bull alla partenza e salta in testa. Purtroppo, c’è il trucco: è partito prima dello spegnimento dei semafori. Drive through e 4° posto finale. A Montecarlo, Nando finisce contro il muro alla curva 3 durante le prove libere e i danni riportati sono tali da non poter essere riparati in tempo per le qualifiche. Ultimo posto in griglia in un circuito in cui sorpassare è notoriamente ostico, il 6° posto finale è quasi un successo. In Turchia, nel giorno in cui esplode definitivamente la rivalità interna alla Red Bull, la Ferrari è un’enorme delusione per tutto il weekend, con Alonso partito 12° e arrivato 8° e Massa partito 8° e arrivato 7°. Dopo un 3° posto in Canada, Nando cerca il riscatto a Valencia, ma, nel GP che verrà ricordato soprattutto per lo spaventoso volo di Webber, si trova invece a far i conti con la crescente frustrazione.
Da un lato, la F10 appare inferiore sia alla Red Bull che alla McLaren, dall’altro c’è l’ennesimo episodio a dimostrazione di come Hamilton, la sua storica nemesi, goda di un trattamento privilegiato. In Cina i giudici di gara avevano (giustamente) punito Nando per aver anticipato la partenza, ma la sanzione gli era stata comminata in un momento in cui effettuare il drive through significava tornare in pista nel traffico. A Valencia, invece, i giudici impiegano ben 20′ per punire Hamilton, che aveva sorpassato la safety car invece di accodarsi alla medesima (quindi un’infrazione molto più facilmente e velocemente rilevabile rispetto al jump start cinese di Alonso) e gli impongono il drive through solo dopo che l’inglese ha fatto il vuoto dietro di lui. Lo spagnolo, invece, si era regolarmente accodato dietro la safety car, ma, alla bandiera a scacchi, lui sarà 8° e Hamilton 2°. La situazione è tragicomica a Silverstone, dove Alonso, frustrato dal non riuscire a sorpassare la Renault di Robert Kubica, ricorre al taglio della chicane per uscirgli davanti dopo la sosta ai box. Teoricamente, potrebbe evitare sanzioni restituendogli la posizione, ma lo spagnolo aspetta troppo e il polacco si ritira per una foratura: il drive through è incontestabile e inevitabile. Come se non bastasse, in contemporanea viene fatta uscire la safety car e Alonso subisce l’umiliazione di finire 14°. Al giro di boa del Mondiale, Nando è quinto in classifica Piloti, a -47 da Hamilton e -23 da Vettel, quarto, mentre la Ferrari è terza a -113 dalla McLaren e -84 dalla Red Bull. A Maranello, però, non sono rimasti con le mani in mano. La F10 fa progressi e, in Germania, finalmente sembra tornata competitiva. Sesta pole in 11 gare per Vettel, ma Alonso è 2° a soli 2 millesimi, tutti gli altri staccati di almeno mezzo secondo. Al via, il tedesco prova inutilmente a chiudere lo spagnolo, mentre Massa, partito 3°, ne approfitta per balzare in testa. Le due Ferrari stanno dominando la gara, ma, in questo momento, caro lettore, mi serve un piccolo sforzo di memoria da parte tua. Ti ricordi che ti avevo detto di tenere a mente il nome di Rob Smedley? L’ingegnere di pista di Alonso ai tempi della F3000? Anche lui, come Nando, ha fatto carriera. Nel 2003 è entrato in Ferrari e, dal 2006, è l’ingegnere di pista di Massa. È proprio lui, al giro 48, a contattare il brasiliano, con un team radio che passerà alla storia. “Fernando è più veloce di te. Puoi confermare di aver capito il messaggio?”.
Massa, evidentemente, capisce il messaggio, alza il piede e fa passare Nando. Doppietta Ferrari, ma, ovviamente, partono subito feroci polemiche. Christian Horner, team principal della Red Bull, lo definisce “l’ordine di scuderia più chiaro che abbia mai visto”. Eddie Jordan, ex proprietario dell’omonimo team passato a commentare le gare per la BBC, parla di “ladrocinio” e invoca squalifiche. Alla fine, però, alla Ferrari verrà solo comminata una multa di 100.000 dollari, lasciando immutato il risultato finale. A qualcuno torna in mente il famigerato GP di Austria del 2002, ma, a differenza di Schumacher, Alonso non prova la minima vergogna per come è maturato il suo secondo successo stagionale. Oltretutto, sempre a proposito di accanimento mediatico e agiografie, la stampa italiana, che aveva crocifisso Schumi e Todt dopo Zeltweg, stavolta cambia diametralmente opinione. Il gioco di squadra è “cinico, ma efficace”, si rispolvera Machiavelli (che molti citano ma molti meno hanno letto e compreso), si cerca su internet la corretta grafia di à la guerre comme à la guerre. Fa eccezione il solito Turrini, che si permette perfino di citare come la mossa della Ferrari sia stata doppiamente inopportuna, in quanto Massa è stato derubato di una vittoria strameritata a un anno esatto dal terribile incidente di Budapest. Dopo questa indecorosa parentesi, torniamo al Mondiale. Seguono, per Alonso, un 2° posto in Ungheria e un ritiro nel pazzo GP del Belgio, parzialmente mitigato dal fatto che anche Button e Vettel chiudano senza punti. Si arriva a Monza con Alonso sempre quinto, -41 da Hamilton e -6 da Button, quarto. Un solo punto divide Red Bull e McLaren nel Mondiale Costruttori, mentre il vantaggio degli austriaci sulla Ferrari è di 80 punti tondi tondi. Nel circuito lombardo, la F10 sembra finalmente la macchina migliore, con la Red Bull incredibilmente in difficoltà. Alonso fa la pole, viene bruciato da Button alla partenza ma riesce a tornargli davanti grazie a una migliore strategia di gara. Terza vittoria stagionale per Nando, che fa poker a Singapore: improvvisamente si trova secondo in classifica, a -11 da Webber, con 5 piloti in 25 punti. Dopo un 3° posto in Giappone, la F1, per la prima volta nella sua storia, fa tappa in Corea del Sud. Prima fila tutta Red Bull, Alonso 3° a poca distanza. La domenica piove, la pista è fradicia, l’asfalto drena poco e Hermann Tilke, colui che ha disegnato il tracciato (insieme a tutti gli altri orrori moderni tipo Abu Dhabi) si vanta pure della cosa, dicendo che renderà la gara imprevedibile. Si parte in regime di safety car. Dopo soli 3 giri, viene esposta la bandiera rossa e si torna tutti ai box. Passano 45′ e si fa una nuova partenza, sempre dietro alla safety car. Dopo 14 giri, finalmente, inizia la gara vera e propria. Le posizioni di testa rimangono invariate, con le Red Bull che distanziano Alonso, il quale opta per una tattica prudente. Al secondo giro “libero”, il leader del Mondiale, Webber, finisce contro un muro. Alonso inizia a ridurre il gap su Vettel, ma non ce n’è bisogno. A 10 giri dalla fine, il motore del tedesco va in fumo e, almeno stavolta, il paragone con Steven Bradbury (australiano come Webber) è azzeccato. Culonso ritorna in grande stile e, a 2 gare dalla fine, si ritrova in testa al Mondiale, a +11 su Webber, +21 su Hamilton e +25 su Vettel.
GP del Brasile, penultima gara. Le condizioni meteo del sabato regalano la pole al giovane Nico Hulkenberg, seguono Vettel, Webber, Hamilton e Alonso. Al via, i top dogs si liberano velocemente della Williams del tedesco, con Nando che induce Hamilton all’errore e si porta 3°. Non succederà più nulla fino a fine gara: con questa doppietta, la Red Bull si aggiudica matematicamente il suo primo Mondiale Costruttori, ma qualcuno fa notare come a Vettel non sia stato chiesto di far passare Webber. Alonso andrà negli Emirati Arabi a +8 su Webber, +15 su Vettel e +24 su Hamilton. Se gli austriaci avessero scambiato le posizioni, il tedesco sarebbe sprofondato a -22 e virtualmente fuori dalla lotta per il titolo, ma l’australiano avrebbe avuto 1 solo punto di ritardo da Nando. Così facendo, invece ad Alonso basterà un 2° posto ad Abu Dhabi e, qualora non dovesse vincere Webber, addirittura il 5° posto sarebbe sufficiente per tornare Campione del Mondo. Le qualifiche sono positive per Alonso, 3° dietro Vettel e Hamilton, con Webber 5° a più di mezzo secondo dal compagno di squadra. Nando parte male e si fa passare da Button, mentre Vettel scappa via, come fa sempre quando riesce a partire bene. Poco male, il 4° posto è sufficiente. Al sesto giro, un incidente apparentemente ininfluente tra Schumacher e Vitantonio Liuzzi cambierà la storia del Mondiale. Entra la safety car e alcuni piloti ne approfittano per cambiare le gomme, tra cui Vitaly Petrov, pilota russo della Renault, talento poco ma sponsorizzazioni molte. 5 giri dopo, Webber striscia la posteriore destra contro una barriera e inizia a perdere passo gara, con Massa dietro che inizia a mettergli pressione. La Red Bull decide quindi di richiamarlo ai box in anticipo. Scattano gli allarmi in casa Ferrari: e se fosse un tentativo di undercut? A Maranello, nella war room in contatto con il muretto di Abu Dhabi, l’analisi dei dati suggerisce di non fermarsi, si rischia di rientrare nel traffico. Gli strateghi sul posto, invece, suggeriscono di fermarsi, l’importante è stare davanti a Webber, le altre macchine sono più lente, le sorpasseremo. Passa quest’ultima linea, Alonso viene fatto rientrare (oltretutto, anche lui aveva avuto un piccolo contatto con una barriera) e, nonostante i giri veloci dell’australiano, rientra davanti a Webber. Sospiro di sollievo dal box Ferrari, ora c’è solo da aspettare che quelli davanti si fermino e, per non perdere il passo necessario, sorpassare qualche auto lenta, a cominciare proprio da Petrov. Peccato che l’impresa si faccia subito ardua ed entrambi i contendenti al Mondiale si trovino a perdere tempo dietro a una vettura più lenta che non riescono a superare. A oggi, c’è ancora chi incolpa un controverso dispositivo chiamato F-Duct per il mancato sorpasso di Petrov. Cercando di non scendere troppo sul tecnico, era una trovata ingegneristica con cui il pilota, tappando un foro all’interno dell’abitacolo con la mano o il ginocchio, deviava il flusso dell’aria in modo tale da generare meno resistenza aerodinamica e guadagnare velocità extra in rettilineo. La FIA l’aveva considerato legale per il 2010 proprio perché era stato adottato praticamente da tutte le auto (inclusa la Ferrari), ma aveva annunciato che, dal 2011 in poi, sarebbe stato vietato. Passano i giri e Petrov è sempre lì. Kubica, suo compagno di squadra, si ferma ai box e torna in pista davanti a lui e, di conseguenza, ad Alonso, che non riesce a schiodarsi dal 7° posto. Gli basta per arrivare davanti a Webber, non gli basta per arrivare davanti a Vettel, che sta dominando la gara incontrastato. Negli ultimi giri, Seb, tenuto volutamente all’oscuro della situazione, inizia a mangiare la foglia, quando il suo ingegnere di pista continua a suggerirgli comportamenti per preservare la vettura. “Perché tutta questa ansia? Vuoi vedere che sto per fare il colpaccio?” pensa Vettel. Saranno proprio le parole di Guillaume Roquelin a svelargli la verità una volta passata la bandiera a scacchi: “ok, Sebastian, ottimo lavoro. Devo aspettare che tutti passino il traguardo, ma la situazione sembra buona. Hamilton, P2. Button, P3. Stanno arrivando altre 2 auto. Rosberg, P4… Du bist Weltmeister!!!”. Vettel soffia un altro record ad Alonso, quello del più giovane Campione del Mondo della storia, diventa il primo pilota a condurre la classifica Piloti solo dopo l’ultima gara 34 anni dopo James Hunt e può finalmente sciogliersi in un pianto liberatorio. La Red Bull, invece, metterà la ciliegina sulla torta perculando apertamente la Ferrari nella loro card natalizia.
Per i tifosi Ferrari è una delusione tremenda, solo 2 anni dopo Massa e il caso Scafroglia Glock. Come tutte le delusioni sportive italiche, ovviamente, dopo poco tempo il dispiacere lascia il posto alla rabbia e alla necessità di trovare un capro espiatorio. Il ruminante in questione viene individuato in Stefano Domenicali, colui che dal 2008 aveva preso il posto di Todt come team principal della Ferrari, in quanto responsabile della decisione di far rientrare Alonso in anticipo ai box. Eppure, sarà lo stesso Alonso a giustificarlo, a caldo, subito dopo la gara. “A posteriori è sempre molto facile parlare. Se non ci fossimo fermati, probabilmente Webber ci avrebbe passati. Era una decisione molto difficile da prendere in quel momento. Non è stata una buona partenza, ho perso una una posizione, poi abbiamo visto che con le gomme morbide c’erano dei problemi, così quando Webber si è fermato abbiamo deciso di proteggerci e fare lo stesso. Quando marchi un pilota, spesso finisci con il concedere qualcosa ad altri. La scelta era tra impostare la corsa su Vettel o gareggiare con Petrov e Rosberg, abbiamo scelto la seconda, ma passare Petrov si è rivelato difficile. La Renault ha un’ottima velocità di punta, quindi è stato molto frustrante. Questo è lo sport, a volte vinci, a volte perdi”. Di quelle parole, ovviamente, si sono già dimenticati tutti. Così come degli errori di Alonso in Cina, Monaco, Inghilterra e, secondo gli standard degli anti-Vettel, in questa categoria andrebbe inserita anche la sbinnata in Australia. Così come del fatto che, senza le lotte fratricide e i numerosi guasti meccanici, Vettel avrebbe vinto il Mondiale con largo anticipo. Infine, si può dire quello che si vuole sulle velocità di punta della Renault, ma se sei Alonso e hai 40 giri a disposizione, prima o poi uno scarsone come Petrov lo devi passare. Infine, a rendere meno amara la delusione di chi, nonostante l’antipatia umana, ha sperato fino all’ultimo di rivedere un uomo in Rosso vincere l’iride, ci sono le parole di tutti quei personaggi, pubblici o meno, intervistati da Turrini nei giorni precedenti. Ah, che idioti in Red Bull, continuano a puntare su Vettel, avessero fatto come la Ferrari magari avrebbero potuto vincere, ma figurati se Seb aiuterà Webber negli Emirati, questi sono dei novellini, mica come noi che siamo in Formula 1 da 60 anni, questa è esperienza, alla fine saremo anche poco sportivi ma tanto #vinciamonoi (hashtag che ha sempre portato un sacco di sfiga). E invece. Al di là delle polemiche, resterà sempre il rammarico per un anno in cui, al netto dei sopracitati errori, Nando ha saputo quasi sempre interpretare al meglio le situazioni di gara e abbia portato a un passo dal Mondiale una macchina che è diventata competitiva solo nella seconda metà di stagione e che, al netto del deludente apporto di Massa (sesto a -112 da Vettel, -108 da Alonso, -70 da Button, quinto, e con soli 2 punti in più di Rosberg e 8 di Kubica), in classifica Costruttori è arrivata terza a -102 dalla Red Bull.
Nel 2011, Alonso finisce quarto, con una vittoria e altri 8 podi, in una stagione dominata in lungo e in largo da Vettel (11 vittorie e 5 secondi posti su 19 GP), con la McLaren di Button lontanissima seconda (-122). Nel 2012, invece, con il ritorno di Raikkonen sulla Renault con livrea Lotus, ci si ritrova in una singolare situazione, con 6 piloti su 24 che hanno già almeno un Mondiale nel loro palmarès. Ci si aspetta un campionato più equilibrato, con la FIA che ha vietato alcune delle soluzioni aerodinamiche che hanno fatto la fortuna della Red Bull negli ultimi 2 anni e con le gomme Pirelli, al secondo anno da fornitore unico, che si presentano come variabile impazzita per la loro difficile prevedibilità. In qualifica, infatti, si fatica a portarle in temperatura ottimale, mentre in gara soffrono di degradi improvvisi, costringendo le scuderie a cambi repentini di strategia. Che sarà un campionato diverso dall’ultimo lo si capisce subito in Australia: dopo aver conquistato 15 pole su 19 GP nel 2011, infrangendo il record di Nigel Mansell del 1992, Vettel ottiene solo il 5° tempo in qualifica. Purtroppo, Alonso non ne approfitta, partendo da 12° e palesando subito i difetti della sua F2012, sottosterzante in entrata di curva e sovrasterzante in uscita. La Ferrari fatica a scaldare le gomme, il ché è sicuramente un problema in qualifica ma potrebbe essere un inaspettato vantaggio in gara, vista la rapidità di degrado delle Pirelli. Non a caso, il giorno dopo Alonso rimonta fino al 5° posto. In Malesia, Nando parte 8° ma, sotto la pioggia, si rende protagonista di una clamorosa rimonta che lo porta a vincere e a tornare in testa al Mondiale per la prima volta da Interlagos 2010. In Cina, altra pessima qualifica per Alonso (9°) e altra grande rimonta fino al 5° posto, ma un sorpasso un po’ troppo aggressivo gli farà terminare la gara nella stessa posizione da cui era partito. Ai test infra-stagione del Mugello, la Ferrari riesce a migliorare la macchina e, a Barcellona, Alonso finisce 2° dietro la sorprendente Williams di Pastor Maldonado. Prima e ultima vittoria in carriera per il venezuelano, prima vittoria per gli inglesi dopo 8 anni (a oggi, ultimo successo per la casa di Grove) e Nando che aggancia Vettel in testa al Mondiale.
I miglioramenti si confermano a Monaco, dove per la prima volta entrambe le macchine si qualificano nelle prime 10 e dove Alonso finirà 3° a meno di un secondo dal vincitore (Webber), staccando Vettel (4°) di 3 punti. In Canada, una strategia sbagliata fa crollare Nando dal 2° al 5° posto, con Hamilton (settimo vincitore diverso nelle prime 7 gare) che vince e gli soffia la testa del Mondiale. A Valencia, Alonso parte 11°, ma si porta al 4° posto con una gestione magistrale degli pneumatici martoriati dal caldo torrido. Un contatto nelle retrovie fa uscire la safety car, così si scatena una tonnara ai box. I meccanici McLaren pasticciano e Alonso diventa 3°. Quando la gara riparte, Nando brucia Romain Grosjean ed è 2°, ma Vettel è imprendibile. O, meglio, sarebbe imprendibile. Il calore accumulato dietro la safety car ha, infatti, bruciato l’alternatore del suo motore Renault e il tedesco deve abbandonare la corsa. Alonso vince, piazza un 25-0 su Vettel e torna in testa al Mondiale, a +20 da Webber e +26 dal Campione in carica.
A Silverstone, Alonso ottiene la sua prima pole stagionale, ma la sua strategia conservativa per la gara viene rovinata da un duello con Hamilton e deve cedere la vittoria a Webber negli ultimi giri. In Germania, invece, la seconda pole consecutiva si tramuta in vittoria e, in classifica, Nando è ora a +34 su Webber e +44 su Vettel. Dopo uno strano GP di Ungheria, con 2 Lotus sul podio dietro Hamilton, la F1 è di scena nello storico circuito di Spa-Francorchamps. Alonso parte 5° ma, al via, al sempre insidioso tornantino della Source, è protagonista di un episodio estremamente sfortunato e fortunato allo stesso tempo. Sfortunato perché viene coinvolto in un incidente sul quale non ha la minima colpa ed è costretto al primo ritiro stagionale. Fortunato perché la Lotus di Grosjean, sollevatasi in aria, gli passa a pochi centimetri dal casco. Ne usciranno tutti illesi, ma il francese verrà squalificato per la gara successiva.
A Monza, dopo essere stato il più veloce in tutte le sessioni di qualifica, nel decisivo Q3 un guasto alla barra antirollio posteriore relega Alonso al 10° posto. In gara, però, rimonta fino a raggiungere Vettel. Nando prova quindi a ripetere la manovra che, l’anno prima, aveva consentito proprio al tedesco di sorpassarlo, ma Vettel forse capisce le intenzioni dello spagnolo e lo chiude, spingendolo fuori dalla pista. Il sorpasso è solo rimandato di 3 giri e farà sì che Alonso finisca 3°. Vettel, invece, verrà penalizzato con un drive through e, a 6 giri dalla fine, verrà nuovamente tradito dall’alternatore, finendo così a 0 punti per la terza volta in stagione e sprofondando al 4° posto in classifica, a -39 da Alonso con 7 gare ancora da correre. Il circus lascia l’Europa e si trasferisce in Asia. È un viaggio lungo e, forse, la dea bendata subisce il jet lag, visto che la distribuzione della buona sorte cambia radicalmente. A Singapore, Vettel vince approfittando del ritiro di Hamilton, balza al 2° posto nel Mondiale e recupera 10 punti su Alonso (3°). In Giappone, la gara di Alonso dura pochi metri, visto che un contatto con l’ala anteriore di Raikkonen gli taglia la posteriore destra. A differenza di quanto accaduto in Belgio, però, Nando non è completamente esente da colpe. L’allargamento della traiettoria prima del tornantone era evitabile, ma, proprio come successo a Vettel un paio di volte, un piccolo errore si tramuta in 0 punti e in enorme regalo al rivale. Già, perché Seb comanda dall’inizio alla fine su quello che, forse, è il suo tracciato preferito e si porta a -4 da Alonso. Da segnalare l’unico podio in carriera, nel GP di casa, di Kamui Kobayashi.
In Corea c’è il tris di Vettel, con Alonso che preserva il 3° posto solo grazie al muretto Ferrari, che sopisce le velleità di sorpasso di Massa. Grazie a questo +10, Seb passa in testa al Mondiale, a +6 su Nando e +52 su Raikkonen. Vettel cala il poker in India, con Alonso che può accompagnare solo nonostante una furiosa rimonta da 5° a 2°. In 4 gare, Seb ha rifilato un tremendo 100-48 a Nando. 6 gare prima era a -44, ora è a +13. Le speranze di rimonta di Alonso sembrano riaccendersi ad Abu Dhabi. Nando fa segnare solo il 7° tempo in qualifica, ma a Vettel, 3°, viene ordinato dal muretto di fermare la macchina durante il giro di rientro a causa del poco carico di benzina. Gli ufficiali di gara sottopongono l’auto a ispezione e non riescono a estrarre la quantità minima di carburante (1 litro) richiesta per le analisi. Risultato? Retrocessione all’ultimo posto. La Red Bull opta per farlo partire dai box, in modo da poter aggirare il parc fermé e dotare la sua RB8 di un assetto più aggressivo. Alonso, in gara, è un demonio: passa Button e Webber nel primo giro, sfrutta la ripartenza dopo la safety car per passare Maldonado e, con il ritiro di Hamilton, è 2°. Prova anche a insidiare la leadership di Raikkonen, ma la macchina e, soprattutto, le gomme sono esauste dalla rimonta e Nando deve accontentarsi della piazza d’onore. La gara passerà alla storia, ma non per il ritorno alla vittoria di Kimi dopo Spa 2009, bensì per il leggendario team radio con il suo ingegnere di pista.
Se avete visto il video, avrete probabilmente notato due cose. Più o meno a 1:41, si vede Vettel, in regime di safety car, venire sorpreso (ancora!) da una frenata di Ricciardo, che sarebbe diventato suo compagno di squadra 2 anni dopo, centrare il cartello che segnala l’inizio della zona DRS e venire costretto a fermarsi ai box per sostituire l’ala anteriore. Insomma, gara rovinata. Eppure, a fine video, lo vedete sul podio. Com’è possibile? Semplicemente, ha corso una delle gare più belle della sua carriera. È riuscito a rimontare da 18° a 2° e, contemporaneamente, a far durare le sue gomme morbide 6 giri in più delle previsioni Pirelli. Dopo il secondo pit stop, è rientrato 4° e, a 4 giri dalla fine, si è preso il podio con un clamoroso sorpasso su Button (3:02 nel video). Alonso, così, recupera solo 3 punti su Vettel e rimane a -10 a 2 GP dalla fine. La F1 ritorna negli USA dopo 7 anni con il GP di Austin, dove Seb non riesce a chiudere il discorso Mondiale ma si riprende i 3 punti persi negli Emirati e va in Brasile forte di un significativo +13 su Nando. In Brasile, quindi, gli basterebbe un 4° posto per disinteressarsi di Alonso e addirittura un 7° posto se non fosse l’asturiano a vincere. Eppure, Seb non può stare tranquillo. Nelle ultime 3 occasioni in cui si è arrivati all’ultimo GP con il Mondiale ancora aperto (2007, 2008, 2010) è successo di tutto, chissà cosa potrebbe accadere stavolta. Le calde qualifiche del sabato vedono Vettel 4° e Alonso 8° (poi “promosso” 7° per la retrocessione di Maldonaldo) a mezzo secondo di distanza, ma la domenica si accende una tiepida speranza: piove, anche se non abbastanza, e infatti tutti partono con le gomme da asciutto. Al via, come se volesse vendicarsi per i fatti del 2010, Webber chiude Vettel, facendolo retrocedere al 7° posto e facendo passare Alonso, 5°. Alla curva 4, la Descida do lago, si innesca un parapiglia con diversi tamponamenti, ma l’immagine che risalta è una sola: Vettel è in mezzo alla pista, fermo, con l’auto girata nel senso di marcia sbagliato. L’ennesimo colpo di scena all’ultima gara. In tutti i ferraristi e gli alonsiani si accende la speranza: se Vettel dovesse ritirarsi, ad Alonso basterebbe un 3° posto per essere Campione del Mondo. Seb, però, non è ancora sconfitto. Il motore è ancora acceso, il tedesco gira la macchina e riparte. Alonso, aiutato da Massa, sorpassa il compagno e Webber in un colpo solo e sale al 3° posto in gara. In questo momento, è virtualmente Campione del Mondo. Peccato che, dopo soli 8 giri, Vettel sia già 8°. Il 3° posto non basta più a Nando, che nel frattempo è stato sorpassato dalla scatenata Force India di Hulkenberg, che arriverà addirittura a condurre la gara per qualche giro. Al 23° giro entra la safety car, con Alonso 4° e Vettel 5°. Nel frattempo, la pista si è asciugata e, in queste condizioni, l’impatto dei piccoli danni subiti dalla RB8 del tedesco al primo giro diventa più evidente, tant’è che, alla ripartenza, viene subito infilato da Kobayashi e Massa. Hulkenberg e Hamilton, nelle prime 2 posizioni, si eliminano a vicenda: Button passa in testa seguito dalle Ferrari. Torna a piovere e Vettel è il primo a fermarsi ai box, ma sempre a causa dell’incidente al primo giro, la radio funziona male e ai box vengono colti di sorpresa, facendogli perdere molto tempo. In casa Ferrari, invece, le comunicazioni sono perfette e consentono di coordinare i pit stop in maniera tale da cedere il 2° posto ad Alonso. Vettel, però, recupera posizioni pian piano e arriva al 7° posto. Con Nando impossibilitato a raggiungere Button, gli basterebbe per vincere il Mondiale. Ciononostante, Seb pensa di cautelarsi guadagnando un’altra posizione con un sorpasso su Schumacher, all’ultimo GP in carriera, dal forte significato simbolico. Le speranze di Alonso muoiono definitivamente a 2 giri dalla fine, quando il maldestro schianto di Paul di Resta costringe la gara a finire in regime di safety car, congelando le posizioni.
Alonso, anche più avanti negli anni, parlerà del 2012 come “la mia miglior stagione di sempre” ed è difficile dargli torto. Purtroppo, anche dopo gli aggiornamenti, la Red Bull si è dimostrata troppo superiore e, oggettivamente, più di così Nando non poteva fare. Rimane il rammarico per non averlo potuto vedere battagliare con Vettel su due auto ugualmente competitive. Già, perché dall’anno dopo inizia il declino di Alonso, almeno per quello che riguarda i risultati. Nel 2013, mentre Vettel e la Red Bull stravincono per il quarto anno di fila, Alonso vince 2 delle sole 6 gare non vinte da Seb e arriva nuovamente secondo nel Mondiale Piloti a un abissale -155 dal tedesco. Nel frattempo, Nando inizia a dare sempre maggiori segni di insofferenza per la mancanza di competitività della Ferrari. Il suo manager, Luis Garcia Abad, organizza perfino una riunione semi-segreta con la Red Bull, che avrà un posto vacante l’anno dopo per via del ritiro di Webber. Ufficialmente, si dirà che la riunione aveva come oggetto Carlos Sainz jr., anch’esso sotto il management di Abad e in orbita Red Bull, ma verso fine agosto ci sarà un incontro tra Alonso e Horner in cui si parlerà seriamente di un approdo in Austria che, però, non si materializzerà mai. Nel frattempo, Alonso inizia a lanciare frecciatine. Nel giorno in cui compie 32 anni, in Ungheria, un giornalista gli chiede cosa vorrebbe come regalo e lui risponde “la macchina degli altri“. Sfogo tanto giustificato quanto inelegante, tant’è che Montezemolo lo cazzierà per telefono. Nel 2014 arriva la grande rivoluzione che toglierà i motori dalle F1 e li sostituirà con delle power unit ibride turbo-elettriche ma, anche stavolta, la Ferrari si farà trovare clamorosamente impreparata. La F14T finirà addirittura al quarto posto nel Mondiale Costruttori. Alonso, sesto a -223 dalla vetta, otterrà uno strepitoso 2° posto in Ungheria tenendo dietro le Mercedes con gomma distrutta ma nulla più. Nel frattempo, a Maranello ci sono una serie di cambiamenti in corso. Domenicali si dimette da team principal “per dare una scossa” e il suo sostituto, Marco Mattiacci, si scontra subito con Alonso. Come se non bastasse, il più grande protettore di Nando, Luca Cordero di Montezemolo, è diventato il bersaglio preferito di Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo FCA, che vuole prendere il suo posto di presidente della Ferrari (cosa che avverrà ufficialmente a ottobre di quell’anno). Privo dei suoi numi tutelari e dopo 5 anni ad aspettare invano una vettura che tenesse il passo della Red Bull o Mercedes di turno, Nando inizia a pensare che sia meglio andarsene. Sembra che Briatore abbia provato a organizzare uno scambio tra lui e Hamilton alla Mercedes, ma che Torger “Toto” Wolff, team principal di quest’ultima, abbia rifiutato per paura che Alonso potesse portare discordia all’interno del team. Abbandonata questa pista, Briatore prova a convincere la Ferrari a rilasciare Nando prima del 2016, anno di scadenza del contratto, per via di un gentlemen’s agreement con Montezemolo. Alonso rilancia con una modifica del contratto che gli consentirebbe una rescissione unilaterale in caso di mancato raggiungimento di certi obiettivi, il potere di veto sulla scelta del compagno di squadra e la possibilità di scegliere il suo staff tecnico. Mattiacci gli rifila un triplo “no”, ma si offre di onorare il patto stretto con Montezemolo: se a fine stagione vorrai andartene, sarai libero di farlo. Così sarà, con Nando e la McLaren che si “perdonano” a vicenda e tornano insieme dopo 8 anni.
A convincere Nando è la mentalità della McLaren. Con la Mercedes diventata nuova forza egemone, la casa di Woking ha deciso di smettere, dopo 20 anni esatti, di montare i propulsori fatti a Stoccarda. Se vogliamo competere con loro, dobbiamo usare dei motori diversi da quelli prodotti da loro, pensano. Giusto, giustissimo: ma a chi rivolgersi? Per gli stessi motivi non ci si può rivolgere a Maranello, anche perché, vista la storica rivalità, una McLaren – Ferrari sarebbe veramente impensabile. Rimangono la Renault e la Honda. Un attimo: come la Honda? Non si era ritirata nel 2009? Già, ma dopo aver “studiato” le nuove power unit l’anno prima, ha deciso di tornare come motorista nel 2015. Il ritorno della McLaren – Honda, che a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 ha dominato la F1, è un’idea molto suggestiva e lo stesso Alonso si convince, dopo una gita nello stabilimento di Sakura accompagnato da Dennis, che l’idea sia giusta. Purtroppo per loro, non lo sarà. Se il buongiorno si vede dal mattino, il fatto che Nando si schianti a più di 200 km/h nel secondo giorno di test non è sicuramente un buon presagio. Ne uscirà con una concussione che gli farà saltare il primo GP, ma la sofferenza si protrarrà molto più a lungo. Non parlo di dolore fisico, ma di mancanza di risultati. Il motore Honda si rivelerà una ciofeca clamorosa, poco affidabile e ancora meno potente. I giapponesi hanno clamorosamente sottovalutato il livello di tecnologia richiesto dalle nuove power unit e la McLaren arriva penultima nel Mondiale Costruttori, davanti solo alla scuderia-materasso Marussia. Su 18 GP disputati, Alonso colleziona 7 ritiri, 9 arrivi fuori dai punti, un 5° e un 10° posto, per la miseria di 11 punti e del diciassettesimo posto finale in classifica Piloti. Per la prima volta dal 2007, inoltre, arriva dietro al suo compagno di squadra, Button, che fa 5 punti in più di lui, anche se, viste le condizioni, si tratta di un confronto veramente inutile. Per un campione come lui, ovviamente, è frustrante essere relegato nelle retrovie e, come suo solito, non nasconde la frustrazione, regalando ai tifosi una serie di tragicomici team radio, tra cui diventerà celebre quello in cui accusa la Honda (peraltro nel loro GP di casa) di aver prodotto un motore degno della categoria inferiore.
Alonso medita di prendere un anno sabbatico nel 2016, ma poi cambia idea e resta in McLaren. Anche stavolta, l’inizio è col botto, letteralmente. Al primo GP della stagione si schianta contro la Haas di Esteban Gutiérrez a più di 300 km/h, ricavandone un pneumotorace e microfratture alle costole. La stagione sarà migliore della precedente, con “soli” 3 ritiri, 9 arrivi a punti su 20 GP e il giro più veloce a Monza. Certo, un pilota del calibro di Nando vorrebbe combattere per qualcosa di più del decimo posto finale nel Mondiale Piloti, ma i miglioramenti sono stati incoraggianti, magari nel 2017 si può lottare per il podio.
È un altro disastro. La power unit Honda sembra tornata quella del 2015 e la MCL32 (prima McLaren dal 1980 il cui nome non inizia con “MP4”, come segnale di discontinuità dopo l’addio di Dennis) soffre di instabilità sul posteriore. Alonso finisce quindicesimo con 17 punti e solo 5 arrivi a punti, con la McLaren nuovamente penultima in classifica Costruttori. Viste le prospettive, Nando decide di provare a diventare il secondo pilota di sempre a conquistare la Triple Crown e, per il GP di Monaco, si fa sostituire da Button, nel frattempo ritiratosi, per correre la 500 miglia di Indianapolis. Parte 4°, comanda la gara per quasi una trentina di giri, poi, ironia della sorte, deve ritirarsi per un guasto al motore. Honda. Durante un’intervista, ad Alonso, che ha il contratto in scadenza, viene chiesto “quanta importanza avrà la scelta del motorista sul tuo rinnovo?”. Risposta: “molta”, seguita da un silenzio quasi imbarazzante e una risatina liberatoria. La McLaren scarica quindi la Honda e inaugura un’inedita partnership con la Renault. Purtroppo, l’unico risultato tangibile di questo nuovo matrimonio sarà l’esporre come non fosse il propulsore l’unico problema della McLaren. Sarà un altro annus horribilis, con la scuderia di Woking settima forza del Mondiale e Alonso che, per il quarto anno consecutivo, non riuscirà ad andare oltre il 5° posto in gara, terminando la (prima parte della) sua carriera in F1 con 6 GP consecutivi fuori dai punti. Ironicamente, l’anno dopo la Red Bull scaricherà la Renault per la Honda e sarà la terza forza del Mondiale, ottenendo 3 vittorie, altri 6 podi, 2 pole e 4 giri veloci.
Ritiro dalla F1, quindi, ma non dall’automobilismo. Riproverà altre 2 volte a correre a Indy, con scarso successo. Con la Toyota, invece, vincerà 2 volte la 24 ore di Le Mans e 1 volta quella di Daytona. Sempre con loro, parteciperà al Rally Dakar nel 2020, arrivando 13°, prima di tornare, a sorpresa, in F1 per un terzo stint con la Renault nel 2021: contratto biennale con opzione per il 2023.
La parte più difficile è proprio l’ultima: trovare il posto di Fernando Alonso nella storia senza diventare eccessivamente fanboy o hater. Nessuno, sano di mente e in buona fede, può negare che Alonso sia stato un grandissimo pilota, sicuramente nella top 3 dei piloti post-Schumacher, insieme a Hamilton e Vettel. Difficile dire se, come ritengono alcuni, sia lui il più forte dei 3. Il problema, in questi ultimi anni, è che l’auto che guidi è responsabile al 90-95% del tuo risultato in pista e la F1, soprattutto di recente, tende ad andare a ondate egemoniche. L’ultimo pilota a vincere pur non avendo la miglior macchina è stato, probabilmente, Schumacher nel 1994 (con la possibile eccezione di Hamilton 2008, unico anno dopo il ’94 in cui il pilota Campione del Mondo non ha corso per la scuderia vincitrice dell’analogo titolo). In questo senso, va dato atto ad Alonso di esserci quasi riuscito in due occasioni (2010 e 2012). Questi due Mondiali portano con loro un sacco di “se”, da un lato e dall’altro. Se Nando avesse avuto una Ferrari più competitiva, soprattutto nella prima metà del 2010, probabilmente adesso di Mondiali ne avrebbe 3 o 4. D’altro canto, se la Red Bull (e, soprattutto, il motore Renault) non avesse avuto tutti quei problemi di affidabilità, non ci sarebbe stata una partita così aperta. Alonso, questo, dovrebbe saperlo bene, considerato cos’è successo a McLaren e Ferrari nei 2 anni in cui ha conquistato l’iride. Come pilota, rimarrà sempre il rammarico di non averlo mai visto su un auto veramente competitiva negli ultimi 10 (DIECI) anni di carriera, tra cui le due sopracitate edizioni in cui ha forse raggiunto l’apice della sua bravura. Agli inizi della carriera, Giancarlo Minardi l’aveva paragonato ad Ayrton Senna, ma a me ha sempre ricordato molto più Alain Prost. Grande conoscenza tecnica, intelligenza tattica e, soprattutto, un clamoroso feeling con il mezzo. Sempre in grado di capire quale fosse il massimo ottenibile dalla vettura date le condizioni e (quasi) sempre in grado di ottenerlo, alternando i momenti di massima spinta a quelli di preservazione delle componenti. Un pilota strepitoso nel riuscire ad andare forte pur senza usurare eccessivamente le gomme, che ha saputo modificare il suo stile di guida aggressivo degli inizi in uno più equilibrato. Probabilmente uno dei migliori piloti di sempre nel modo di impostare le curve strette. A questo punto, come fa giustamente notare Leo Turrini, uno potrebbe chiedersi come mai a 25 anni sei il più giovane bi-Campione del Mondo di sempre e, a 40 anni, i Mondiali sono ancora 2. Qui, probabilmente, entra in campo l’Alonso uomo (perlomeno con la tuta indosso, chi lo conosce sostiene che, fuori dal box, abbia tutt’altro carattere). Dagli inizi in Minardi e Renault, dove chi ha lavorato con lui parla di un pilota molto orientato al lavoro di squadra, è diventato molto più egoista, soprattutto dopo la sfida interna con Hamilton nel 2007. Ha sempre collaborato attivamente con il personale tecnico, ma lo faceva per aiutare nello sviluppo dell’auto e, quindi, avere il miglior mezzo possibile a disposizione, non per creare sinergie con il compagno di squadra. A fine carriera si è un po’ “ammorbidito” da questo punto di vista, come quando ha aiutato a inserirsi in McLaren Stoffel Vandoorne, suo sostituto nei GP saltati per infortunio e, in seguito, suo compagno di squadra, anche se si tratta, ovviamente, di situazioni radicalmente diverse. Il fatto che, dopo aver lasciato la Ferrari, non abbia ricevuto offerte reali né da Mercedes né da Red Bull dovrebbe far riflettere. Qualcuno potrebbe dire che la prima aveva già Hamilton e non voleva rischiare un altro 2007 e che la seconda, da sempre, ingaggi solo piloti già nella sua orbita (anche se il recente ingaggio di Sergio Pérez dimostra, quantomeno, un cambio di tendenza). Eppure, se vuoi lottare per il Mondiale e c’è libero uno come Alonso, normalmente lo prendi. Anche in questo senso, il fatto di aver battuto 15 volte su 17 il proprio compagno di squadra è un dato notevole, contando che gli stessi Hamilton e Vettel hanno avuto qualche problema a riguardo in carriera, ma può anche venir letto come il fatto che, usando le parole del giornalista Will Buxton, ogni squadra in cui andava si trasformava presto in Team Fernando. A parte l’ormai famigerato 2007 (che, guarda caso, è una delle volte in cui ha perso il confronto diretto), Alonso non ha mai avuto in squadra un Ricciardo, un Rosberg o un Leclerc che minacciassero il suo status di prima, anzi, primissima guida. Infine, sicuramente parte della risposta all’ultima domanda risiede anche nel fattore C. È vero, nei Mondiali che ha vinto e in quello sfiorato c’è tanto Culonso, ma nelle decisioni di carriera c’è anche tanta sfortuna. Va in McLaren, auto competitiva, si trova in squadra Hamilton. Va in una Ferrari reduce da 14 Mondiali in 10 anni, non fanno mai un auto veramente da titolo. Va in McLaren, inizia per loro il periodo più buio degli ultimi 20 anni. Lascia il motore Honda, da GP2 engine diventa improvvisamente competitivo. Ecco, poteva andare peggio ma anche decisamente meglio. Forse, però, non è questa l’ultima domanda, ce n’è un’ultimissima. Sarebbe potuto riuscire dove Vettel ha fallito? Scartiamo le stagioni 2015, 2016 e le ultime 2 per ovvie ragioni di competitività. Scartiamo anche il 2017, in cui se la Ferrari ha potuto giocarsela per metà stagione è indiscutibilmente merito di Vettel. Rimane il 2018. Magari avrebbe fatto meno errori e, chissà, magari conquistato qualche punticino in più, ma non avrebbe vinto. Quando era in Ferrari, Alonso si è potuto giocare i Mondiali 2010 e 2012 perché l’avversario, la Red Bull, era più veloce ma anche più “pasticcione”, tra lotte interne e problemi meccanici. La Mercedes affrontata da Vettel con la Ferrari, invece, ha avuto molti meno problemi di affidabilità e ha avuto in Valtteri Bottas uno “scudiero” molto più sottomesso alla Megaditta dedito alla causa rispetto a Webber. A entrambi serviva un’auto migliore e un compagno di squadra più performante, a nessuno è stato dato niente di ciò. È questo il grande rammarico della Ferrari degli anni ’10, non la scelta del pilota. Sarà, comunque, interessante, vedere Alonso e Vettel nel 2021 su due auto emergenti, seppur presumibilmente ben distanti dalla Mercedes. Già, perché, nel frattempo, Vettel ha firmato per la Force India or whatever the fuck it’s called Aston Martin. Ma questa è un’altra storia.