Anvedi come balla Nando (seconda parte)

(continua da qui)

Mondiale 2010, quindi. In termini di regolamento, le novità maggiori sono 2: l’abolizione dei rifornimenti di carburante in gara e l’introduzione di un nuovo sistema di punteggio. Dal 10-8-6-5-4-3-2-1 si passa al 25-18-15-12-10-8-6-4-2-1. L’idea, aumentando significativamente lo scarto tra il primo e il secondo, è quella di spingere i piloti a osare di più per la vittoria. In pratica, però, con 25 punti al vincitore e punti per le prime 10 posizioni, rimanere a secco anche solo una gara ha effetti potenzialmente devastanti, quindi l’effetto generato è diametralmente opposto. Vettel domina il primo appuntamento in Bahrain, almeno fin quando una candela difettosa lo costringe ad accomodarsi appena fuori dal podio. Alonso diventa così il sesto pilota nella storia della Ferrari a vincere il GP di esordio. Nelle prime 6 gare, comunque, regnerà l’equilibrio, con altrettanti cambi al vertice della classifica Piloti. Ciononostante, è chiaro come sia la Red Bull la favorita per il Mondiale. In qualifica è imprendibile, anche se in gara soffre di qualche problema di affidabilità. In Cina, dopo un ottimo 2° posto a Barcellona, Alonso parte 3°, brucia le Red Bull alla partenza e salta in testa. Purtroppo, c’è il trucco: è partito prima dello spegnimento dei semafori. Drive through e 4° posto finale. A Montecarlo, Nando finisce contro il muro alla curva 3 durante le prove libere e i danni riportati sono tali da non poter essere riparati in tempo per le qualifiche. Ultimo posto in griglia in un circuito in cui sorpassare è notoriamente ostico, il 6° posto finale è quasi un successo. In Turchia, nel giorno in cui esplode definitivamente la rivalità interna alla Red Bull, la Ferrari è un’enorme delusione per tutto il weekend, con Alonso partito 12° e arrivato 8° e Massa partito 8° e arrivato 7°. Dopo un 3° posto in Canada, Nando cerca il riscatto a Valencia, ma, nel GP che verrà ricordato soprattutto per lo spaventoso volo di Webber, si trova invece a far i conti con la crescente frustrazione.

Da un lato, la F10 appare inferiore sia alla Red Bull che alla McLaren, dall’altro c’è l’ennesimo episodio a dimostrazione di come Hamilton, la sua storica nemesi, goda di un trattamento privilegiato. In Cina i giudici di gara avevano (giustamente) punito Nando per aver anticipato la partenza, ma la sanzione gli era stata comminata in un momento in cui effettuare il drive through significava tornare in pista nel traffico. A Valencia, invece, i giudici impiegano ben 20′ per punire Hamilton, che aveva sorpassato la safety car invece di accodarsi alla medesima (quindi un’infrazione molto più facilmente e velocemente rilevabile rispetto al jump start cinese di Alonso) e gli impongono il drive through solo dopo che l’inglese ha fatto il vuoto dietro di lui. Lo spagnolo, invece, si era regolarmente accodato dietro la safety car, ma, alla bandiera a scacchi, lui sarà 8° e Hamilton 2°. La situazione è tragicomica a Silverstone, dove Alonso, frustrato dal non riuscire a sorpassare la Renault di Robert Kubica, ricorre al taglio della chicane per uscirgli davanti dopo la sosta ai box. Teoricamente, potrebbe evitare sanzioni restituendogli la posizione, ma lo spagnolo aspetta troppo e il polacco si ritira per una foratura: il drive through è incontestabile e inevitabile. Come se non bastasse, in contemporanea viene fatta uscire la safety car e Alonso subisce l’umiliazione di finire 14°. Al giro di boa del Mondiale, Nando è quinto in classifica Piloti, a -47 da Hamilton e -23 da Vettel, quarto, mentre la Ferrari è terza a -113 dalla McLaren e -84 dalla Red Bull. A Maranello, però, non sono rimasti con le mani in mano. La F10 fa progressi e, in Germania, finalmente sembra tornata competitiva. Sesta pole in 11 gare per Vettel, ma Alonso è 2° a soli 2 millesimi, tutti gli altri staccati di almeno mezzo secondo. Al via, il tedesco prova inutilmente a chiudere lo spagnolo, mentre Massa, partito 3°, ne approfitta per balzare in testa. Le due Ferrari stanno dominando la gara, ma, in questo momento, caro lettore, mi serve un piccolo sforzo di memoria da parte tua. Ti ricordi che ti avevo detto di tenere a mente il nome di Rob Smedley? L’ingegnere di pista di Alonso ai tempi della F3000? Anche lui, come Nando, ha fatto carriera. Nel 2003 è entrato in Ferrari e, dal 2006, è l’ingegnere di pista di Massa. È proprio lui, al giro 48, a contattare il brasiliano, con un team radio che passerà alla storia. “Fernando è più veloce di te. Puoi confermare di aver capito il messaggio?”.

Massa, evidentemente, capisce il messaggio, alza il piede e fa passare Nando. Doppietta Ferrari, ma, ovviamente, partono subito feroci polemiche. Christian Horner, team principal della Red Bull, lo definisce “l’ordine di scuderia più chiaro che abbia mai visto”. Eddie Jordan, ex proprietario dell’omonimo team passato a commentare le gare per la BBC, parla di “ladrocinio” e invoca squalifiche. Alla fine, però, alla Ferrari verrà solo comminata una multa di 100.000 dollari, lasciando immutato il risultato finale. A qualcuno torna in mente il famigerato GP di Austria del 2002, ma, a differenza di Schumacher, Alonso non prova la minima vergogna per come è maturato il suo secondo successo stagionale. Oltretutto, sempre a proposito di accanimento mediatico e agiografie, la stampa italiana, che aveva crocifisso Schumi e Todt dopo Zeltweg, stavolta cambia diametralmente opinione. Il gioco di squadra è “cinico, ma efficace”, si rispolvera Machiavelli (che molti citano ma molti meno hanno letto e compreso), si cerca su internet la corretta grafia di à la guerre comme à la guerre. Fa eccezione il solito Turrini, che si permette perfino di citare come la mossa della Ferrari sia stata doppiamente inopportuna, in quanto Massa è stato derubato di una vittoria strameritata a un anno esatto dal terribile incidente di Budapest. Dopo questa indecorosa parentesi, torniamo al Mondiale. Seguono, per Alonso, un 2° posto in Ungheria e un ritiro nel pazzo GP del Belgio, parzialmente mitigato dal fatto che anche Button e Vettel chiudano senza punti. Si arriva a Monza con Alonso sempre quinto, -41 da Hamilton e -6 da Button, quarto. Un solo punto divide Red Bull e McLaren nel Mondiale Costruttori, mentre il vantaggio degli austriaci sulla Ferrari è di 80 punti tondi tondi. Nel circuito lombardo, la F10 sembra finalmente la macchina migliore, con la Red Bull incredibilmente in difficoltà. Alonso fa la pole, viene bruciato da Button alla partenza ma riesce a tornargli davanti grazie a una migliore strategia di gara. Terza vittoria stagionale per Nando, che fa poker a Singapore: improvvisamente si trova secondo in classifica, a -11 da Webber, con 5 piloti in 25 punti. Dopo un 3° posto in Giappone, la F1, per la prima volta nella sua storia, fa tappa in Corea del Sud. Prima fila tutta Red Bull, Alonso 3° a poca distanza. La domenica piove, la pista è fradicia, l’asfalto drena poco e Hermann Tilke, colui che ha disegnato il tracciato (insieme a tutti gli altri orrori moderni tipo Abu Dhabi) si vanta pure della cosa, dicendo che renderà la gara imprevedibile. Si parte in regime di safety car. Dopo soli 3 giri, viene esposta la bandiera rossa e si torna tutti ai box. Passano 45′ e si fa una nuova partenza, sempre dietro alla safety car. Dopo 14 giri, finalmente, inizia la gara vera e propria. Le posizioni di testa rimangono invariate, con le Red Bull che distanziano Alonso, il quale opta per una tattica prudente. Al secondo giro “libero”, il leader del Mondiale, Webber, finisce contro un muro. Alonso inizia a ridurre il gap su Vettel, ma non ce n’è bisogno. A 10 giri dalla fine, il motore del tedesco va in fumo e, almeno stavolta, il paragone con Steven Bradbury (australiano come Webber) è azzeccato. Culonso ritorna in grande stile e, a 2 gare dalla fine, si ritrova in testa al Mondiale, a +11 su Webber, +21 su Hamilton e +25 su Vettel.

GP del Brasile, penultima gara. Le condizioni meteo del sabato regalano la pole al giovane Nico Hulkenberg, seguono Vettel, Webber, Hamilton e Alonso. Al via, i top dogs si liberano velocemente della Williams del tedesco, con Nando che induce Hamilton all’errore e si porta 3°. Non succederà più nulla fino a fine gara: con questa doppietta, la Red Bull si aggiudica matematicamente il suo primo Mondiale Costruttori, ma qualcuno fa notare come a Vettel non sia stato chiesto di far passare Webber. Alonso andrà negli Emirati Arabi a +8 su Webber, +15 su Vettel e +24 su Hamilton. Se gli austriaci avessero scambiato le posizioni, il tedesco sarebbe sprofondato a -22 e virtualmente fuori dalla lotta per il titolo, ma l’australiano avrebbe avuto 1 solo punto di ritardo da Nando. Così facendo, invece ad Alonso basterà un 2° posto ad Abu Dhabi e, qualora non dovesse vincere Webber, addirittura il 5° posto sarebbe sufficiente per tornare Campione del Mondo. Le qualifiche sono positive per Alonso, 3° dietro Vettel e Hamilton, con Webber 5° a più di mezzo secondo dal compagno di squadra. Nando parte male e si fa passare da Button, mentre Vettel scappa via, come fa sempre quando riesce a partire bene. Poco male, il 4° posto è sufficiente. Al sesto giro, un incidente apparentemente ininfluente tra Schumacher e Vitantonio Liuzzi cambierà la storia del Mondiale. Entra la safety car e alcuni piloti ne approfittano per cambiare le gomme, tra cui Vitaly Petrov, pilota russo della Renault, talento poco ma sponsorizzazioni molte. 5 giri dopo, Webber striscia la posteriore destra contro una barriera e inizia a perdere passo gara, con Massa dietro che inizia a mettergli pressione. La Red Bull decide quindi di richiamarlo ai box in anticipo. Scattano gli allarmi in casa Ferrari: e se fosse un tentativo di undercut? A Maranello, nella war room in contatto con il muretto di Abu Dhabi, l’analisi dei dati suggerisce di non fermarsi, si rischia di rientrare nel traffico. Gli strateghi sul posto, invece, suggeriscono di fermarsi, l’importante è stare davanti a Webber, le altre macchine sono più lente, le sorpasseremo. Passa quest’ultima linea, Alonso viene fatto rientrare (oltretutto, anche lui aveva avuto un piccolo contatto con una barriera) e, nonostante i giri veloci dell’australiano, rientra davanti a Webber. Sospiro di sollievo dal box Ferrari, ora c’è solo da aspettare che quelli davanti si fermino e, per non perdere il passo necessario, sorpassare qualche auto lenta, a cominciare proprio da Petrov. Peccato che l’impresa si faccia subito ardua ed entrambi i contendenti al Mondiale si trovino a perdere tempo dietro a una vettura più lenta che non riescono a superare. A oggi, c’è ancora chi incolpa un controverso dispositivo chiamato F-Duct per il mancato sorpasso di Petrov. Cercando di non scendere troppo sul tecnico, era una trovata ingegneristica con cui il pilota, tappando un foro all’interno dell’abitacolo con la mano o il ginocchio, deviava il flusso dell’aria in modo tale da generare meno resistenza aerodinamica e guadagnare velocità extra in rettilineo. La FIA l’aveva considerato legale per il 2010 proprio perché era stato adottato praticamente da tutte le auto (inclusa la Ferrari), ma aveva annunciato che, dal 2011 in poi, sarebbe stato vietato. Passano i giri e Petrov è sempre lì. Kubica, suo compagno di squadra, si ferma ai box e torna in pista davanti a lui e, di conseguenza, ad Alonso, che non riesce a schiodarsi dal 7° posto. Gli basta per arrivare davanti a Webber, non gli basta per arrivare davanti a Vettel, che sta dominando la gara incontrastato. Negli ultimi giri, Seb, tenuto volutamente all’oscuro della situazione, inizia a mangiare la foglia, quando il suo ingegnere di pista continua a suggerirgli comportamenti per preservare la vettura. “Perché tutta questa ansia? Vuoi vedere che sto per fare il colpaccio?” pensa Vettel. Saranno proprio le parole di Guillaume Roquelin a svelargli la verità una volta passata la bandiera a scacchi: “ok, Sebastian, ottimo lavoro. Devo aspettare che tutti passino il traguardo, ma la situazione sembra buona. Hamilton, P2. Button, P3. Stanno arrivando altre 2 auto. Rosberg, P4… Du bist Weltmeister!!!”. Vettel soffia un altro record ad Alonso, quello del più giovane Campione del Mondo della storia, diventa il primo pilota a condurre la classifica Piloti solo dopo l’ultima gara 34 anni dopo James Hunt e può finalmente sciogliersi in un pianto liberatorio. La Red Bull, invece, metterà la ciliegina sulla torta perculando apertamente la Ferrari nella loro card natalizia.

natalredbullchristmascard

Per i tifosi Ferrari è una delusione tremenda, solo 2 anni dopo Massa e il caso Scafroglia Glock. Come tutte le delusioni sportive italiche, ovviamente, dopo poco tempo il dispiacere lascia il posto alla rabbia e alla necessità di trovare un capro espiatorio. Il ruminante in questione viene individuato in Stefano Domenicali, colui che dal 2008 aveva preso il posto di Todt come team principal della Ferrari, in quanto responsabile della decisione di far rientrare Alonso in anticipo ai box. Eppure, sarà lo stesso Alonso a giustificarlo, a caldo, subito dopo la gara. “A posteriori è sempre molto facile parlare. Se non ci fossimo fermati, probabilmente Webber ci avrebbe passati. Era una decisione molto difficile da prendere in quel momento. Non è stata una buona partenza, ho perso una una posizione, poi abbiamo visto che con le gomme morbide c’erano dei problemi, così quando Webber si è fermato abbiamo deciso di proteggerci e fare lo stesso. Quando marchi un pilota, spesso finisci con il concedere qualcosa ad altri. La scelta era tra impostare la corsa su Vettel o gareggiare con Petrov e Rosberg, abbiamo scelto la seconda, ma passare Petrov si è rivelato difficile. La Renault ha un’ottima velocità di punta, quindi è stato molto frustrante. Questo è lo sport, a volte vinci, a volte perdi”. Di quelle parole, ovviamente, si sono già dimenticati tutti. Così come degli errori di Alonso in Cina, Monaco, Inghilterra e, secondo gli standard degli anti-Vettel, in questa categoria andrebbe inserita anche la sbinnata in Australia. Così come del fatto che, senza le lotte fratricide e i numerosi guasti meccanici, Vettel avrebbe vinto il Mondiale con largo anticipo. Infine, si può dire quello che si vuole sulle velocità di punta della Renault, ma se sei Alonso e hai 40 giri a disposizione, prima o poi uno scarsone come Petrov lo devi passare. Infine, a rendere meno amara la delusione di chi, nonostante l’antipatia umana, ha sperato fino all’ultimo di rivedere un uomo in Rosso vincere l’iride, ci sono le parole di tutti quei personaggi, pubblici o meno, intervistati da Turrini nei giorni precedenti. Ah, che idioti in Red Bull, continuano a puntare su Vettel, avessero fatto come la Ferrari magari avrebbero potuto vincere, ma figurati se Seb aiuterà Webber negli Emirati, questi sono dei novellini, mica come noi che siamo in Formula 1 da 60 anni, questa è esperienza, alla fine saremo anche poco sportivi ma tanto #vinciamonoi (hashtag che ha sempre portato un sacco di sfiga). E invece. Al di là delle polemiche, resterà sempre il rammarico per un anno in cui, al netto dei sopracitati errori, Nando ha saputo quasi sempre interpretare al meglio le situazioni di gara e abbia portato a un passo dal Mondiale una macchina che è diventata competitiva solo nella seconda metà di stagione e che, al netto del deludente apporto di Massa (sesto a -112 da Vettel, -108 da Alonso, -70 da Button, quinto, e con soli 2 punti in più di Rosberg e 8 di Kubica), in classifica Costruttori è arrivata terza a -102 dalla Red Bull.

Nel 2011, Alonso finisce quarto, con una vittoria e altri 8 podi, in una stagione dominata in lungo e in largo da Vettel (11 vittorie e 5 secondi posti su 19 GP), con la McLaren di Button lontanissima seconda (-122). Nel 2012, invece, con il ritorno di Raikkonen sulla Renault con livrea Lotus, ci si ritrova in una singolare situazione, con 6 piloti su 24 che hanno già almeno un Mondiale nel loro palmarès. Ci si aspetta un campionato più equilibrato, con la FIA che ha vietato alcune delle soluzioni aerodinamiche che hanno fatto la fortuna della Red Bull negli ultimi 2 anni e con le gomme Pirelli, al secondo anno da fornitore unico, che si presentano come variabile impazzita per la loro difficile prevedibilità. In qualifica, infatti, si fatica a portarle in temperatura ottimale, mentre in gara soffrono di degradi improvvisi, costringendo le scuderie a cambi repentini di strategia. Che sarà un campionato diverso dall’ultimo lo si capisce subito in Australia: dopo aver conquistato 15 pole su 19 GP nel 2011, infrangendo il record di Nigel Mansell del 1992, Vettel ottiene solo il 5° tempo in qualifica. Purtroppo, Alonso non ne approfitta, partendo da 12° e palesando subito i difetti della sua F2012, sottosterzante in entrata di curva e sovrasterzante in uscita. La Ferrari fatica a scaldare le gomme, il ché è sicuramente un problema in qualifica ma potrebbe essere un inaspettato vantaggio in gara, vista la rapidità di degrado delle Pirelli. Non a caso, il giorno dopo Alonso rimonta fino al 5° posto. In Malesia, Nando parte 8° ma, sotto la pioggia, si rende protagonista di una clamorosa rimonta che lo porta a vincere e a tornare in testa al Mondiale per la prima volta da Interlagos 2010. In Cina, altra pessima qualifica per Alonso (9°) e altra grande rimonta fino al 5° posto, ma un sorpasso un po’ troppo aggressivo gli farà terminare la gara nella stessa posizione da cui era partito. Ai test infra-stagione del Mugello, la Ferrari riesce a migliorare la macchina e, a Barcellona, Alonso finisce 2° dietro la sorprendente Williams di Pastor Maldonado. Prima e ultima vittoria in carriera per il venezuelano, prima vittoria per gli inglesi dopo 8 anni (a oggi, ultimo successo per la casa di Grove) e Nando che aggancia Vettel in testa al Mondiale.

I miglioramenti si confermano a Monaco, dove per la prima volta entrambe le macchine si qualificano nelle prime 10 e dove Alonso finirà 3° a meno di un secondo dal vincitore (Webber), staccando Vettel (4°) di 3 punti. In Canada, una strategia sbagliata fa crollare Nando dal 2° al 5° posto, con Hamilton (settimo vincitore diverso nelle prime 7 gare) che vince e gli soffia la testa del Mondiale. A Valencia, Alonso parte 11°, ma si porta al 4° posto con una gestione magistrale degli pneumatici martoriati dal caldo torrido. Un contatto nelle retrovie fa uscire la safety car, così si scatena una tonnara ai box. I meccanici McLaren pasticciano e Alonso diventa 3°. Quando la gara riparte, Nando brucia Romain Grosjean ed è 2°, ma Vettel è imprendibile. O, meglio, sarebbe imprendibile. Il calore accumulato dietro la safety car ha, infatti, bruciato l’alternatore del suo motore Renault e il tedesco deve abbandonare la corsa. Alonso vince, piazza un 25-0 su Vettel e torna in testa al Mondiale, a +20 da Webber e +26 dal Campione in carica.

A Silverstone, Alonso ottiene la sua prima pole stagionale, ma la sua strategia conservativa per la gara viene rovinata da un duello con Hamilton e deve cedere la vittoria a Webber negli ultimi giri. In Germania, invece, la seconda pole consecutiva si tramuta in vittoria e, in classifica, Nando è ora a +34 su Webber e +44 su Vettel. Dopo uno strano GP di Ungheria, con 2 Lotus sul podio dietro Hamilton, la F1 è di scena nello storico circuito di Spa-Francorchamps. Alonso parte 5° ma, al via, al sempre insidioso tornantino della Source, è protagonista di un episodio estremamente sfortunato e fortunato allo stesso tempo. Sfortunato perché viene coinvolto in un incidente sul quale non ha la minima colpa ed è costretto al primo ritiro stagionale. Fortunato perché la Lotus di Grosjean, sollevatasi in aria, gli passa a pochi centimetri dal casco. Ne usciranno tutti illesi, ma il francese verrà squalificato per la gara successiva.

A Monza, dopo essere stato il più veloce in tutte le sessioni di qualifica, nel decisivo Q3 un guasto alla barra antirollio posteriore relega Alonso al 10° posto. In gara, però, rimonta fino a raggiungere Vettel. Nando prova quindi a ripetere la manovra che, l’anno prima, aveva consentito proprio al tedesco di sorpassarlo, ma Vettel forse capisce le intenzioni dello spagnolo e lo chiude, spingendolo fuori dalla pista. Il sorpasso è solo rimandato di 3 giri e farà sì che Alonso finisca 3°. Vettel, invece, verrà penalizzato con un drive through e, a 6 giri dalla fine, verrà nuovamente tradito dall’alternatore, finendo così a 0 punti per la terza volta in stagione e sprofondando al 4° posto in classifica, a -39 da Alonso con 7 gare ancora da correre. Il circus lascia l’Europa e si trasferisce in Asia. È un viaggio lungo e, forse, la dea bendata subisce il jet lag, visto che la distribuzione della buona sorte cambia radicalmente. A Singapore, Vettel vince approfittando del ritiro di Hamilton, balza al 2° posto nel Mondiale e recupera 10 punti su Alonso (3°). In Giappone, la gara di Alonso dura pochi metri, visto che un contatto con l’ala anteriore di Raikkonen gli taglia la posteriore destra. A differenza di quanto accaduto in Belgio, però, Nando non è completamente esente da colpe. L’allargamento della traiettoria prima del tornantone era evitabile, ma, proprio come successo a Vettel un paio di volte, un piccolo errore si tramuta in 0 punti e in enorme regalo al rivale. Già, perché Seb comanda dall’inizio alla fine su quello che, forse, è il suo tracciato preferito e si porta a -4 da Alonso. Da segnalare l’unico podio in carriera, nel GP di casa, di Kamui Kobayashi.

In Corea c’è il tris di Vettel, con Alonso che preserva il 3° posto solo grazie al muretto Ferrari, che sopisce le velleità di sorpasso di Massa. Grazie a questo +10, Seb passa in testa al Mondiale, a +6 su Nando e +52 su Raikkonen. Vettel cala il poker in India, con Alonso che può accompagnare solo nonostante una furiosa rimonta da 5° a 2°. In 4 gare, Seb ha rifilato un tremendo 100-48 a Nando. 6 gare prima era a -44, ora è a +13. Le speranze di rimonta di Alonso sembrano riaccendersi ad Abu Dhabi. Nando fa segnare solo il 7° tempo in qualifica, ma a Vettel, 3°, viene ordinato dal muretto di fermare la macchina durante il giro di rientro a causa del poco carico di benzina. Gli ufficiali di gara sottopongono l’auto a ispezione e non riescono a estrarre la quantità minima di carburante (1 litro) richiesta per le analisi. Risultato? Retrocessione all’ultimo posto. La Red Bull opta per farlo partire dai box, in modo da poter aggirare il parc fermé e dotare la sua RB8 di un assetto più aggressivo. Alonso, in gara, è un demonio: passa Button e Webber nel primo giro, sfrutta la ripartenza dopo la safety car per passare Maldonado e, con il ritiro di Hamilton, è 2°. Prova anche a insidiare la leadership di Raikkonen, ma la macchina e, soprattutto, le gomme sono esauste dalla rimonta e Nando deve accontentarsi della piazza d’onore. La gara passerà alla storia, ma non per il ritorno alla vittoria di Kimi dopo Spa 2009, bensì per il leggendario team radio con il suo ingegnere di pista.

Just leave me alone, I know what I’m doing!

Se avete visto il video, avrete probabilmente notato due cose. Più o meno a 1:41, si vede Vettel, in regime di safety car, venire sorpreso (ancora!) da una frenata di Ricciardo, che sarebbe diventato suo compagno di squadra 2 anni dopo, centrare il cartello che segnala l’inizio della zona DRS e venire costretto a fermarsi ai box per sostituire l’ala anteriore. Insomma, gara rovinata. Eppure, a fine video, lo vedete sul podio. Com’è possibile? Semplicemente, ha corso una delle gare più belle della sua carriera. È riuscito a rimontare da 18° a 2° e, contemporaneamente, a far durare le sue gomme morbide 6 giri in più delle previsioni Pirelli. Dopo il secondo pit stop, è rientrato 4° e, a 4 giri dalla fine, si è preso il podio con un clamoroso sorpasso su Button (3:02 nel video). Alonso, così, recupera solo 3 punti su Vettel e rimane a -10 a 2 GP dalla fine. La F1 ritorna negli USA dopo 7 anni con il GP di Austin, dove Seb non riesce a chiudere il discorso Mondiale ma si riprende i 3 punti persi negli Emirati e va in Brasile forte di un significativo +13 su Nando. In Brasile, quindi, gli basterebbe un 4° posto per disinteressarsi di Alonso e addirittura un 7° posto se non fosse l’asturiano a vincere. Eppure, Seb non può stare tranquillo. Nelle ultime 3 occasioni in cui si è arrivati all’ultimo GP con il Mondiale ancora aperto (2007, 2008, 2010) è successo di tutto, chissà cosa potrebbe accadere stavolta. Le calde qualifiche del sabato vedono Vettel 4° e Alonso 8° (poi “promosso” 7° per la retrocessione di Maldonaldo) a mezzo secondo di distanza, ma la domenica si accende una tiepida speranza: piove, anche se non abbastanza, e infatti tutti partono con le gomme da asciutto. Al via, come se volesse vendicarsi per i fatti del 2010, Webber chiude Vettel, facendolo retrocedere al 7° posto e facendo passare Alonso, 5°. Alla curva 4, la Descida do lago, si innesca un parapiglia con diversi tamponamenti, ma l’immagine che risalta è una sola: Vettel è in mezzo alla pista, fermo, con l’auto girata nel senso di marcia sbagliato. L’ennesimo colpo di scena all’ultima gara. In tutti i ferraristi e gli alonsiani si accende la speranza: se Vettel dovesse ritirarsi, ad Alonso basterebbe un 3° posto per essere Campione del Mondo. Seb, però, non è ancora sconfitto. Il motore è ancora acceso, il tedesco gira la macchina e riparte. Alonso, aiutato da Massa, sorpassa il compagno e Webber in un colpo solo e sale al 3° posto in gara. In questo momento, è virtualmente Campione del Mondo. Peccato che, dopo soli 8 giri, Vettel sia già 8°. Il 3° posto non basta più a Nando, che nel frattempo è stato sorpassato dalla scatenata Force India di Hulkenberg, che arriverà addirittura a condurre la gara per qualche giro. Al 23° giro entra la safety car, con Alonso 4° e Vettel 5°. Nel frattempo, la pista si è asciugata e, in queste condizioni, l’impatto dei piccoli danni subiti dalla RB8 del tedesco al primo giro diventa più evidente, tant’è che, alla ripartenza, viene subito infilato da Kobayashi e Massa. Hulkenberg e Hamilton, nelle prime 2 posizioni, si eliminano a vicenda: Button passa in testa seguito dalle Ferrari. Torna a piovere e Vettel è il primo a fermarsi ai box, ma sempre a causa dell’incidente al primo giro, la radio funziona male e ai box vengono colti di sorpresa, facendogli perdere molto tempo. In casa Ferrari, invece, le comunicazioni sono perfette e consentono di coordinare i pit stop in maniera tale da cedere il 2° posto ad Alonso. Vettel, però, recupera posizioni pian piano e arriva al 7° posto. Con Nando impossibilitato a raggiungere Button, gli basterebbe per vincere il Mondiale. Ciononostante, Seb pensa di cautelarsi guadagnando un’altra posizione con un sorpasso su Schumacher, all’ultimo GP in carriera, dal forte significato simbolico. Le speranze di Alonso muoiono definitivamente a 2 giri dalla fine, quando il maldestro schianto di Paul di Resta costringe la gara a finire in regime di safety car, congelando le posizioni.

Alonso, anche più avanti negli anni, parlerà del 2012 come “la mia miglior stagione di sempre” ed è difficile dargli torto. Purtroppo, anche dopo gli aggiornamenti, la Red Bull si è dimostrata troppo superiore e, oggettivamente, più di così Nando non poteva fare. Rimane il rammarico per non averlo potuto vedere battagliare con Vettel su due auto ugualmente competitive. Già, perché dall’anno dopo inizia il declino di Alonso, almeno per quello che riguarda i risultati. Nel 2013, mentre Vettel e la Red Bull stravincono per il quarto anno di fila, Alonso vince 2 delle sole 6 gare non vinte da Seb e arriva nuovamente secondo nel Mondiale Piloti a un abissale -155 dal tedesco. Nel frattempo, Nando inizia a dare sempre maggiori segni di insofferenza per la mancanza di competitività della Ferrari. Il suo manager, Luis Garcia Abad, organizza perfino una riunione semi-segreta con la Red Bull, che avrà un posto vacante l’anno dopo per via del ritiro di Webber. Ufficialmente, si dirà che la riunione aveva come oggetto Carlos Sainz jr., anch’esso sotto il management di Abad e in orbita Red Bull, ma verso fine agosto ci sarà un incontro tra Alonso e Horner in cui si parlerà seriamente di un approdo in Austria che, però, non si materializzerà mai. Nel frattempo, Alonso inizia a lanciare frecciatine. Nel giorno in cui compie 32 anni, in Ungheria, un giornalista gli chiede cosa vorrebbe come regalo e lui risponde “la macchina degli altri“. Sfogo tanto giustificato quanto inelegante, tant’è che Montezemolo lo cazzierà per telefono. Nel 2014 arriva la grande rivoluzione che toglierà i motori dalle F1 e li sostituirà con delle power unit ibride turbo-elettriche ma, anche stavolta, la Ferrari si farà trovare clamorosamente impreparata. La F14T finirà addirittura al quarto posto nel Mondiale Costruttori. Alonso, sesto a -223 dalla vetta, otterrà uno strepitoso 2° posto in Ungheria tenendo dietro le Mercedes con gomma distrutta ma nulla più. Nel frattempo, a Maranello ci sono una serie di cambiamenti in corso. Domenicali si dimette da team principal “per dare una scossa” e il suo sostituto, Marco Mattiacci, si scontra subito con Alonso. Come se non bastasse, il più grande protettore di Nando, Luca Cordero di Montezemolo, è diventato il bersaglio preferito di Sergio Marchionne, amministratore delegato del gruppo FCA, che vuole prendere il suo posto di presidente della Ferrari (cosa che avverrà ufficialmente a ottobre di quell’anno). Privo dei suoi numi tutelari e dopo 5 anni ad aspettare invano una vettura che tenesse il passo della Red Bull o Mercedes di turno, Nando inizia a pensare che sia meglio andarsene. Sembra che Briatore abbia provato a organizzare uno scambio tra lui e Hamilton alla Mercedes, ma che Torger “Toto” Wolff, team principal di quest’ultima, abbia rifiutato per paura che Alonso potesse portare discordia all’interno del team. Abbandonata questa pista, Briatore prova a convincere la Ferrari a rilasciare Nando prima del 2016, anno di scadenza del contratto, per via di un gentlemen’s agreement con Montezemolo. Alonso rilancia con una modifica del contratto che gli consentirebbe una rescissione unilaterale in caso di mancato raggiungimento di certi obiettivi, il potere di veto sulla scelta del compagno di squadra e la possibilità di scegliere il suo staff tecnico. Mattiacci gli rifila un triplo “no”, ma si offre di onorare il patto stretto con Montezemolo: se a fine stagione vorrai andartene, sarai libero di farlo. Così sarà, con Nando e la McLaren che si “perdonano” a vicenda e tornano insieme dopo 8 anni.

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A convincere Nando è la mentalità della McLaren. Con la Mercedes diventata nuova forza egemone, la casa di Woking ha deciso di smettere, dopo 20 anni esatti, di montare i propulsori fatti a Stoccarda. Se vogliamo competere con loro, dobbiamo usare dei motori diversi da quelli prodotti da loro, pensano. Giusto, giustissimo: ma a chi rivolgersi? Per gli stessi motivi non ci si può rivolgere a Maranello, anche perché, vista la storica rivalità, una McLaren – Ferrari sarebbe veramente impensabile. Rimangono la Renault e la Honda. Un attimo: come la Honda? Non si era ritirata nel 2009? Già, ma dopo aver “studiato” le nuove power unit l’anno prima, ha deciso di tornare come motorista nel 2015. Il ritorno della McLaren – Honda, che a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 ha dominato la F1, è un’idea molto suggestiva e lo stesso Alonso si convince, dopo una gita nello stabilimento di Sakura accompagnato da Dennis, che l’idea sia giusta. Purtroppo per loro, non lo sarà. Se il buongiorno si vede dal mattino, il fatto che Nando si schianti a più di 200 km/h nel secondo giorno di test non è sicuramente un buon presagio. Ne uscirà con una concussione che gli farà saltare il primo GP, ma la sofferenza si protrarrà molto più a lungo. Non parlo di dolore fisico, ma di mancanza di risultati. Il motore Honda si rivelerà una ciofeca clamorosa, poco affidabile e ancora meno potente. I giapponesi hanno clamorosamente sottovalutato il livello di tecnologia richiesto dalle nuove power unit e la McLaren arriva penultima nel Mondiale Costruttori, davanti solo alla scuderia-materasso Marussia. Su 18 GP disputati, Alonso colleziona 7 ritiri, 9 arrivi fuori dai punti, un 5° e un 10° posto, per la miseria di 11 punti e del diciassettesimo posto finale in classifica Piloti. Per la prima volta dal 2007, inoltre, arriva dietro al suo compagno di squadra, Button, che fa 5 punti in più di lui, anche se, viste le condizioni, si tratta di un confronto veramente inutile. Per un campione come lui, ovviamente, è frustrante essere relegato nelle retrovie e, come suo solito, non nasconde la frustrazione, regalando ai tifosi una serie di tragicomici team radio, tra cui diventerà celebre quello in cui accusa la Honda (peraltro nel loro GP di casa) di aver prodotto un motore degno della categoria inferiore.

Alonso medita di prendere un anno sabbatico nel 2016, ma poi cambia idea e resta in McLaren. Anche stavolta, l’inizio è col botto, letteralmente. Al primo GP della stagione si schianta contro la Haas di Esteban Gutiérrez a più di 300 km/h, ricavandone un pneumotorace e microfratture alle costole. La stagione sarà migliore della precedente, con “soli” 3 ritiri, 9 arrivi a punti su 20 GP e il giro più veloce a Monza. Certo, un pilota del calibro di Nando vorrebbe combattere per qualcosa di più del decimo posto finale nel Mondiale Piloti, ma i miglioramenti sono stati incoraggianti, magari nel 2017 si può lottare per il podio.

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È un altro disastro. La power unit Honda sembra tornata quella del 2015 e la MCL32 (prima McLaren dal 1980 il cui nome non inizia con “MP4”, come segnale di discontinuità dopo l’addio di Dennis) soffre di instabilità sul posteriore. Alonso finisce quindicesimo con 17 punti e solo 5 arrivi a punti, con la McLaren nuovamente penultima in classifica Costruttori. Viste le prospettive, Nando decide di provare a diventare il secondo pilota di sempre a conquistare la Triple Crown e, per il GP di Monaco, si fa sostituire da Button, nel frattempo ritiratosi, per correre la 500 miglia di Indianapolis. Parte 4°, comanda la gara per quasi una trentina di giri, poi, ironia della sorte, deve ritirarsi per un guasto al motore. Honda. Durante un’intervista, ad Alonso, che ha il contratto in scadenza, viene chiesto “quanta importanza avrà la scelta del motorista sul tuo rinnovo?”. Risposta: “molta”, seguita da un silenzio quasi imbarazzante e una risatina liberatoria. La McLaren scarica quindi la Honda e inaugura un’inedita partnership con la Renault. Purtroppo, l’unico risultato tangibile di questo nuovo matrimonio sarà l’esporre come non fosse il propulsore l’unico problema della McLaren. Sarà un altro annus horribilis, con la scuderia di Woking settima forza del Mondiale e Alonso che, per il quarto anno consecutivo, non riuscirà ad andare oltre il 5° posto in gara, terminando la (prima parte della) sua carriera in F1 con 6 GP consecutivi fuori dai punti. Ironicamente, l’anno dopo la Red Bull scaricherà la Renault per la Honda e sarà la terza forza del Mondiale, ottenendo 3 vittorie, altri 6 podi, 2 pole e 4 giri veloci.

Ritiro dalla F1, quindi, ma non dall’automobilismo. Riproverà altre 2 volte a correre a Indy, con scarso successo. Con la Toyota, invece, vincerà 2 volte la 24 ore di Le Mans e 1 volta quella di Daytona. Sempre con loro, parteciperà al Rally Dakar nel 2020, arrivando 13°, prima di tornare, a sorpresa, in F1 per un terzo stint con la Renault nel 2021: contratto biennale con opzione per il 2023.

La parte più difficile è proprio l’ultima: trovare il posto di Fernando Alonso nella storia senza diventare eccessivamente fanboyhater. Nessuno, sano di mente e in buona fede, può negare che Alonso sia stato un grandissimo pilota, sicuramente nella top 3 dei piloti post-Schumacher, insieme a Hamilton e Vettel. Difficile dire se, come ritengono alcuni, sia lui il più forte dei 3. Il problema, in questi ultimi anni, è che l’auto che guidi è responsabile al 90-95% del tuo risultato in pista e la F1, soprattutto di recente, tende ad andare a ondate egemoniche. L’ultimo pilota a vincere pur non avendo la miglior macchina è stato, probabilmente, Schumacher nel 1994 (con la possibile eccezione di Hamilton 2008, unico anno dopo il ’94 in cui il pilota Campione del Mondo non ha corso per la scuderia vincitrice dell’analogo titolo). In questo senso, va dato atto ad Alonso di esserci quasi riuscito in due occasioni (2010 e 2012). Questi due Mondiali portano con loro un sacco di “se”, da un lato e dall’altro. Se Nando avesse avuto una Ferrari più competitiva, soprattutto nella prima metà del 2010, probabilmente adesso di Mondiali ne avrebbe 3 o 4. D’altro canto, se la Red Bull (e, soprattutto, il motore Renault) non avesse avuto tutti quei problemi di affidabilità, non ci sarebbe stata una partita così aperta. Alonso, questo, dovrebbe saperlo bene, considerato cos’è successo a McLaren e Ferrari nei 2 anni in cui ha conquistato l’iride. Come pilota, rimarrà sempre il rammarico di non averlo mai visto su un auto veramente competitiva negli ultimi 10 (DIECI) anni di carriera, tra cui le due sopracitate edizioni in cui ha forse raggiunto l’apice della sua bravura. Agli inizi della carriera, Giancarlo Minardi l’aveva paragonato ad Ayrton Senna, ma a me ha sempre ricordato molto più Alain Prost. Grande conoscenza tecnica, intelligenza tattica e, soprattutto, un clamoroso feeling con il mezzo. Sempre in grado di capire quale fosse il massimo ottenibile dalla vettura date le condizioni e (quasi) sempre in grado di ottenerlo, alternando i momenti di massima spinta a quelli di preservazione delle componenti. Un pilota strepitoso nel riuscire ad andare forte pur senza usurare eccessivamente le gomme, che ha saputo modificare il suo stile di guida aggressivo degli inizi in uno più equilibrato. Probabilmente uno dei migliori piloti di sempre nel modo di impostare le curve strette. A questo punto, come fa giustamente notare Leo Turrini, uno potrebbe chiedersi come mai a 25 anni sei il più giovane bi-Campione del Mondo di sempre e, a 40 anni, i Mondiali sono ancora 2. Qui, probabilmente, entra in campo l’Alonso uomo (perlomeno con la tuta indosso, chi lo conosce sostiene che, fuori dal box, abbia tutt’altro carattere). Dagli inizi in Minardi e Renault, dove chi ha lavorato con lui parla di un pilota molto orientato al lavoro di squadra, è diventato molto più egoista, soprattutto dopo la sfida interna con Hamilton nel 2007. Ha sempre collaborato attivamente con il personale tecnico, ma lo faceva per aiutare nello sviluppo dell’auto e, quindi, avere il miglior mezzo possibile a disposizione, non per creare sinergie con il compagno di squadra. A fine carriera si è un po’ “ammorbidito” da questo punto di vista, come quando ha aiutato a inserirsi in McLaren Stoffel Vandoorne, suo sostituto nei GP saltati per infortunio e, in seguito, suo compagno di squadra, anche se si tratta, ovviamente, di situazioni radicalmente diverse. Il fatto che, dopo aver lasciato la Ferrari, non abbia ricevuto offerte reali né da Mercedes né da Red Bull dovrebbe far riflettere. Qualcuno potrebbe dire che la prima aveva già Hamilton e non voleva rischiare un altro 2007 e che la seconda, da sempre, ingaggi solo piloti già nella sua orbita (anche se il recente ingaggio di Sergio Pérez dimostra, quantomeno, un cambio di tendenza). Eppure, se vuoi lottare per il Mondiale e c’è libero uno come Alonso, normalmente lo prendi. Anche in questo senso, il fatto di aver battuto 15 volte su 17 il proprio compagno di squadra è un dato notevole, contando che gli stessi Hamilton e Vettel hanno avuto qualche problema a riguardo in carriera, ma può anche venir letto come il fatto che, usando le parole del giornalista Will Buxton, ogni squadra in cui andava si trasformava presto in Team Fernando. A parte l’ormai famigerato 2007 (che, guarda caso, è una delle volte in cui ha perso il confronto diretto), Alonso non ha mai avuto in squadra un Ricciardo, un Rosberg o un Leclerc che minacciassero il suo status di prima, anzi, primissima guida. Infine, sicuramente parte della risposta all’ultima domanda risiede anche nel fattore C. È vero, nei Mondiali che ha vinto e in quello sfiorato c’è tanto Culonso, ma nelle decisioni di carriera c’è anche tanta sfortuna. Va in McLaren, auto competitiva, si trova in squadra Hamilton. Va in una Ferrari reduce da 14 Mondiali in 10 anni, non fanno mai un auto veramente da titolo. Va in McLaren, inizia per loro il periodo più buio degli ultimi 20 anni. Lascia il motore Honda, da GP2 engine diventa improvvisamente competitivo. Ecco, poteva andare peggio ma anche decisamente meglio. Forse, però, non è questa l’ultima domanda, ce n’è un’ultimissima. Sarebbe potuto riuscire dove Vettel ha fallito? Scartiamo le stagioni 2015, 2016 e le ultime 2 per ovvie ragioni di competitività. Scartiamo anche il 2017, in cui se la Ferrari ha potuto giocarsela per metà stagione è indiscutibilmente merito di Vettel. Rimane il 2018. Magari avrebbe fatto meno errori e, chissà, magari conquistato qualche punticino in più, ma non avrebbe vinto. Quando era in Ferrari, Alonso si è potuto giocare i Mondiali 2010 e 2012 perché l’avversario, la Red Bull, era più veloce ma anche più “pasticcione”, tra lotte interne e problemi meccanici. La Mercedes affrontata da Vettel con la Ferrari, invece, ha avuto molti meno problemi di affidabilità e ha avuto in Valtteri Bottas uno “scudiero” molto più sottomesso alla Megaditta dedito alla causa rispetto a Webber. A entrambi serviva un’auto migliore e un compagno di squadra più performante, a nessuno è stato dato niente di ciò. È questo il grande rammarico della Ferrari degli anni ’10, non la scelta del pilota. Sarà, comunque, interessante, vedere Alonso e Vettel nel 2021 su due auto emergenti, seppur presumibilmente ben distanti dalla Mercedes. Già, perché, nel frattempo, Vettel ha firmato per la Force India or whatever the fuck it’s called Aston Martin. Ma questa è un’altra storia.

Anvedi come balla Nando (prima parte)

Come tutti sappiamo, dalla stagione 2021 Sebastian Vettel non guiderà più per la Ferrari. Questa decisione ha scatenato un valzer di sedili: quello di Seb è stato preso da Carlos Sainz jr., che a sua volta verrà sostituito in McLaren da Daniel Ricciardo, che a sua volta verrà sostituito in Renault da… Fernando Alonso! La notizia ha suscitato abbastanza clamore, in quanto l’asturiano è reduce da 2 anni di assenza dalla Formula 1 e, a fine luglio, compirà 40 anni. Di “Nando”, però, non si è mai smesso di parlare, almeno in Italia, e questo, a mio avviso, per due caratteristiche profondamente radicate nella tradizione italiana: la nostalgia dalla memoria selettiva e la velocità nel salire sul carro dei vincitori (e nello scendere da quello dei perdenti). Ricordo, da un esame universitario sul giornalismo, come veniva descritta la principale differenza tra quello di stampo anglo-americano e quello europeo. Nel primo caso, si tende a separare quanto più possibile i fatti dalle opinioni. Non a caso, in tutti i maggiori quotidiani degli USA esiste la famosa newsroom, ovvero la redazione che si occupa delle notizie, e, separata, quella che scrive i pezzi di opinione. In Europa, invece, il confine è molto più sfumato. È come se si desse per assodato, sia lato giornale che lato lettore, che, per quanto ci si sforzi di essere intellettualmente onesti, ci sarà sempre un bias che influenzerà, anche incoscientemente, il giornalista e, semplicemente, lo si accetta. Tralasciando il fatto che, al giorno d’oggi, come accennavo in precedenza, i giornali italiani hanno la rincorsa del lettore come mission e, quindi, si spostano sempre più dalla tribuna stampa alla curva (con poche ma lodevoli eccezioni, ovviamente), volevo usare la nozione con cui ho aperto il paragrafo per mettere subito in chiaro come la penso io. Vettel è, insieme forse a Kimi Raikkonen, il pilota che più ho amato da quando seguo la Formula 1. Certo, ci sarebbe anche Schumacher, ma le significative differenze del contesto fanno sì che confermi la frase precedente. Alonso, invece, non l’ho mai amato. Ovviamente l’ho tifato nel suo periodo ferrarista e ne riconosco la grandezza come pilota, ma mi è sempre rimasto quel retrogusto di antipatia nei suoi confronti, più o meno quello che provo attualmente per Charles Leclerc. Ci sono altre similitudini che contrappongono il binomio Raikkonen-Vettel a quello Alonso-Leclerc. I primi due non sono mai stati visti troppo bene dalla stampa italiana, anzi. Del finnico, prima di diventare un’icona “bomber”, probabilmente non si apprezzava il trattamento schivo, quando non apertamente ostile, nei confronti dei giornalisti, i quali ricambiavano gettando continuamente dubbio e discredito sul suo talento. Il tedesco, invece, ha dovuto fare i conti con una nazionalità non troppo gradita a Sud delle Alpi (anche Schumacher ha ricevuto un trattamento analogo prima di iniziare a vincere con la Ferrari) e con qualche errorino di troppo alla guida. Alonso e Leclerc, invece, sono stati trattati in maniera diametralmente opposta. Nando è spagnolo e, nonostante ci fosse già una discreta acredine sportiva con gli italiani, erano gli anni della crisi del debito sovrano e, per i giornali, era più vendibile la narrazione dei due PIIGS contro il tedesco Vettel e l’austriaca Red Bull (narrazione peraltro cavalcata dallo stesso Alonso). Leclerc, invece, è monegasco, quindi parla una lingua simile al dialetto di Imperia, e fa parte della Ferrari Driver Academy da abbastanza tempo per parlare un italiano quasi impeccabile. Inoltre, la narrazione del giovane “del vivaio” che diventa la punta di diamante della prima squadra ha sempre fatto presa in tutti gli sport. Comunque sia, visto che ultimamente ho letto qualche articolo su Alonso che, un po’ come (il pur bellissimo) The Last Dance, somiglia più a un’agiografia che a una biografia, proverò a raccontarvi io la carriera di Nando fino al suo (primo) ritiro.

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Fernando Alonso Díaz nasce a Oviedo, nel Principato delle Asturie, comunità autonoma della Spagna settentrionale, da una famiglia operaia. Papà José Luis lavora come operaio in una fabbrica che produce esplosivi da utilizzare nelle varie miniere di carbone della regione, mentre mamma Ana è una commessa in un grande magazzino. José Luis è stato un pilota di kart amatoriale in gioventù e vorrebbe condividere la passione con i suoi due figli. Costruisce un kart a pedali, modellato sull’immagine di una Formula 1, per la figlia maggiore, Lorena, di 8 anni, ma l’amore non scoppia. Diverso, invece, è il discorso di Fernando, che a soli 3 anni si dimostra ampiamente a suo agio dietro al volante.

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Inizia quindi a correre con i kart veri e propri, nonostante si tratti di uno sport alquanto dispendioso. Alonso corre con le slick sotto la pioggia perché la sua famiglia non si può permettere le gomme da bagnato e, così facendo, affina la sua sensibilità. Essendo così giovane, cresce rapidamente in statura e, di conseguenza, la tuta vecchia non gli va più bene. Peccato che le tute da pilota siano piuttosto costose, così mamma Ana si ritrova a tagliare e ricucire la vecchia tuta in modo da adattarla alle nuove dimensioni di Nando. A 7 anni corre (e vince) la sua prima gara ufficiale e, poco tempo dopo, trova in Genis Marcò, un importatore di kart, il suo mecenate, colui che gli finanzierà gli inizi di carriera e che, insieme al 6 volte Campione del Mondo di kart Mike Wilson, gli insegnerà l’importanza di correre in maniera conservativa per ridurre l’usura meccanica. A 14 anni inizia a correre nelle divisioni junior del Mondiale di kart e, per raggranellare qualche peseta, fa da meccanico ai piloti più giovani. Nel frattempo, per mantenersi allenato, gioca a calcio, in porta, e arriva perfino a rifiutare un’offerta del Celta Vigo che lo vorrebbe nelle sue giovanili. Si sviluppano, così, in questi anni alcune delle qualità che Alonso manterrà costanti nella sua carriera: la competenza tecnica, la capacità di adattarsi all’usura del mezzo e l’attenzione costante alla sua forma fisica. Le sue buone prestazioni vengono notate dall’ex-pilota di F1 Adrián Campos, allora proprietario di un team in Formula 3000, che nel 1999 gli propone di prendere il posto del suo connazionale Marc Gené (sì, quello delle striccenere su Sky), appena passato in F1. Nella stagione di esordio nella Nissan Euro Open, Nando conquista 6 vittorie e, soprattutto, il titolo, all’ultima gara, nonostante il suo rivale, il portoghese Manuel Gião, lo accusi di averlo sorpassato in regime di bandiera gialla. L’anno dopo, grazie anche allo sponsor Telefonica, corre per il team Astromega, in orbita Minardi, nel Campionato Internazionale di Formula 3000, dove avrà come ingegnere di pista l’inglese Rob Smedley. Tenetevi a mente questo nome, perché ci servirà in seguito.

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Terminerà il campionato al quarto posto, conquistando la piazza d’onore in Ungheria e vincendo l’ultima gara della stagione, in Belgio. La Minardi inizia a interessarsi seriamente a lui e, dopo aver ben figurato in una serie di test, lo ingaggia come collaudatore del team di F1 per la stagione 2000. A Nando, però, questo ruolo sta stretto, vuole tornare alle gare, ha fretta di imparare perché nella sua mente l’obiettivo è già quello di diventare Campione del Mondo. Così, attraverso Campos, riesce a ottenere un colloquio con Jean Todt, all’epoca team principal della Ferrari. Il manager francese ha già sentito parlare di Alonso e i due raggiungono un accordo verbale: porta pazienza, l’anno prossimo ti faranno correre. Non firmare con nessuno che, se te la cavi bene, la prossima volta che tornerai a Maranello sarà da dipendente. Poco dopo, però, entra nella vita di Nando una persona che sarà determinante per il suo futuro: Flavio Briatore. Anche questo personaggio è piuttosto controverso e chi scrive nutre ben poca stima nei suoi confronti. Va però riconosciuto al manager cuneese il fatto di avere un certo fiuto per quanto riguarda il talento al volante. Fu lui, del resto, a sfruttare le pieghe del primo contratto in F1 di Michael Schumacher per fregarlo alla Jordan e portarlo alla sua Benetton dopo un solo GP corso dal tedesco. Briatore “fiuta” che Alonso è un cavallo di razza, ne diventa manager e dice chiaro e tondo a Todt che il loro accordo verbale potrebbe tornargli utile qualora finisse la carta igienica. A dicembre, la Minardi concede a Nando di effettuare una serie di test sulla Benetton, che, nel frattempo, era stata acquisita dalla Renault e aveva rimesso Briatore a capo della baracca. Alonso ottiene così abbastanza chilometraggio da ottenere la Superlicenza FIA e, grazie all’accordo tra Benetton e Minardi, ottiene di partecipare al Mondiale 2001 come pilota ufficiale su quest’ultima.

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Per Alonso è un’ottima opportunità di fare esperienza, visto che la Minardi, da sempre, è una macchina abbonata alle ultime file della griglia e, senza la pressione di dover conquistare dei punti, ha tutto il tempo di adattarsi al left foot braking e alla realtà della F1. Inizia anche un sodalizio con due fisioterapisti che gli forniscono un calendario di allenamenti e una dieta per tenere costante il suo peso durante la stagione. Al suo fianco, in Minardi, si alterneranno il brasiliano Tarso Marques e il malese Alex Yoong, ma nessuno di loro riuscirà a fare meglio di Nando, che chiuderà il campionato al 23° posto con 0 punti ma, in Germania, arriverà 10°, posizione che, con il sistema di punteggio attuale, gli sarebbe valsa 1 punto. Iniziano a circolare voci su scuderie interessate a ingaggiarlo, ma Briatore non ne vuole sapere. Per un momento considera perfino di scaricare Jenson Button, che ha reso meno del previsto al suo esordio in Benetton (nel frattempo rinominata ufficialmente Renault), ma poi rimanda tutto al 2003, optando per fargli fare un altro anno da collaudatore. Alonso si trova subito a suo agio sulla R23, che risponde bene alle modifiche all’assetto e le cui gomme Michelin gli consentono di guidare in maniera aggressiva.

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Tempo 2 GP e, in Malesia, Alonso diventa il pilota più giovane di sempre a conquistare una pole position, in una prima fila tutta Renault con il nuovo compagno di squadra, l’abruzzese Jarno Trulli, di fianco a lui. In gara finirà terzo, il suo primo podio in carriera, ma dovrà solo aspettare l’Ungheria per diventare il pilota più giovane di sempre a vincere una gara, battendo il record di Bruce McLaren che durava da 44 anni e permettendosi pure il lusso di doppiare Schumacher, la cui Ferrari stava attraversando un periodo di pessima forma.

Chiuderà il campionato al sesto posto, a soli 3 punti da Ralf Schumacher e con 4 punti in più di David Coulthard, entrambi molto più esperti di lui e al volante di due macchine ben più veloci della R23. Prima della stagione 2004, Alonso si reca di frequente a Enstone, dove la Renault F1 ha la sua fabbrica, e partecipa attivamente allo sviluppo della R24. Nonostante la soddisfazione per la macchina prodotta e un Mondiale con 2 gare in più dell’anno precedente, Alonso conquista solo 4 punti in più dell’anno prima, senza alcuna vittoria e con 4 podi, gli stessi del 2003. Da un lato, va detto che quell’anno non ce n’è per nessuno, visto che la F2004 di Schumacher e Barrichello si dimostra una delle auto più dominanti di sempre, vincendo 15 gare su 18 (di cui 8 doppiette) e che Nando conquista comunque 13 punti in più di Trulli. Dall’altro, è proprio il pilota pescarese a conquistare una delle 3 vittorie sfuggite alla Ferrari, a Monaco. Vale la pena raccontare quell’episodio. Trulli aveva conquistato la pole ed era rimasto in testa per tutto il GP, con Alonso dietro a inseguirlo. Dopo i pit stop, Alonso lo aveva quasi recuperato, ma, per la foga, aveva sbattuto nel tunnel, con conseguente ritiro. Trulli, che era anch’esso sotto il management di Briatore ma il cui contratto scadeva a fine stagione, a fine gara aveva visto il brizzolato cuneese corrergli incontro e abbracciarlo calorosamente a favore di telecamera. Nell’orecchio, però, gli aveva sussurrato: “sei stato fortunato, se Nando non sbatteva vinceva lui”. Nonostante Trulli fosse rimasto davanti ad Alonso in classifica fino a 4 GP dal termine, in lui era maturata la sensazione che il team stesse favorendo l’asturiano e che stesse combattendo contro di lui una vera e propria guerra psicologica. Proprio a Monza, la gara in cui avviene il sorpasso in classifica, Trulli decide di cambiare aria e firmare con la Toyota per il 2005, mentre la Renault si riprende Fisichella.

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Come accennato, il campionato viene dominato da Schumacher (5° titolo Piloti consecutivo) e dalla Ferrari (6° titolo Costruttori consecutivo). Contrariamente a quanto succede ora con la Mercedes, all’epoca la FIA non vedeva di buon occhio le egemonie, così, dopo averci provato 2 anni prima, viene varata per il 2005 una radicale modifica al regolamento. Ogni motore dovrà durare almeno 2 gare consecutive e, soprattutto, i cambi gomme durante la gara saranno consentiti solo in caso di forature, danni sostanziali o significativi cambiamenti meteo. Quest’ultima regola penalizzerà fortemente le 3 scuderie ancora legate alla Bridgestone (Jordan, Minardi e, soprattutto, Ferrari) mentre favorirà quelle fornite dalla Michelin, tra cui la Renault e la McLaren. La R25 del team francese domina i test pre-stagione e la prima parte di campionato: Fisichella vince in Australia, mentre Alonso vince la gara dopo, in Malesia, e si porta in testa al Campionato, dove nessuno lo spodesterà più per tutto l’anno. Il terzo posto conquistato in Brasile, terzultima gara, nel giorno dell’ultima vittoria in F1 di Juan Pablo Montoya, gli vale la matematica certezza di essere diventato il più giovane Campione del Mondo di sempre (24 anni e 58 giorni), battendo il record di Emerson Fitti-fucking-paldi (cit.) che resisteva da ben 33 anni.

Formula One World Championship

7 vittorie, 15 podi in 19 gare, 133 punti finali. +21 punti su Raikkonen, secondo classificato. Difficile dire che non sia un Mondiale meritato. Ci sarebbe solo un “però”, ed è relativo al soprannome che qualcuno ha cominciato ad affibiargli, ovvero Culonso. Durante l’anno, infatti, a Raikkonen ne capitano di tutti i colori. La sua McLaren MP4-20 è veloce ma molto poco affidabile. Tralasciando tutte le penalità subite in qualifica (-10 posizioni a botta) per prematura supercazzola sostituzione del motore, in ben 3 occasioni Kimi deve ritirarsi per problemi meccanici (quindi non per errori suoi) mentre è in testa alla gara. Fanno 30 punti in meno. Aggiungiamo che in tutte e 3 le occasioni Alonso gli ha “rubato” la vittoria e sono 36 punti totali regalati dalla McLaren a Nando. Tornate qualche riga in su a ripassare il margine con cui ha vinto il Mondiale e fatevi due conti. Scomodare Steven Bradbury sarebbe esagerato nonché ingeneroso, però è innegabile che la buona sorte sia stata divisa in maniera quantomeno iniqua tra i due contendenti al titolo.

A Ron Dennis, team principal proprio della McLaren, questi discorsi non interessano minimamente. Subito dopo il GP del Brasile, chiede ad Alonso la sua disponibilità a correre per loro nel 2007. Nando chiede delucidazioni su chi sarebbe, nel caso, il suo compagno di squadra, in quanto non intende che il suo status di prima guida sia minimamente messo in discussione. Dennis lo rassicura, i contratti di Raikkonen e Montoya scadranno nel 2006 e non verranno rinnovati, come seconda guida hanno pensato di lanciare un giovane esordiente che, secondo loro, è già abbastanza veloce per poter togliere punti ai suoi avversari ma che sicuramente non avrà problemi a mettersi al servizio di uno con il curriculum di Alonso. 3 settimane dopo, c’è la firma sul contratto. Prima di trasferirsi a Woking, però, c’è un Mondiale da difendere. Dopo la clamorosa figura di merda in mondovisione a Indianapolis, la FIA ha ripristinato i cambi gomme durante la gara, assottigliando di molto il vantaggio competitivo della Michelin (che si sarebbe ritirata dalla F1 l’anno successivo) sulle Bridgestone. Inoltre, si vocifera che questo sarà l’ultimo anno di Michael Schumacher prima del ritiro: il Kaiser è determinato a lasciare con il botto e la Ferrari ha lavorato duramente per dargli un auto competitiva. Il 2006 si preannuncia quindi come una sfida epica tra uno che il Mondiale l’ha vinto 7 volte e uno che, con 12 anni in meno sulle spalle, sembra avere tutto per emularlo. In realtà, nelle prime 9 gare, di epico c’è ben poco. Alonso ne vince 6 e guadagna 84 punti su 90 disponibili, mettendo già 25 punti tra lui e Schumacher (ricordiamo che all’epoca una vittoria valeva 10 punti). Il colpo di scena avviene però due gare dopo: alla fine del GP di Francia, la FIA inizia a sollevare dubbi sulla legalità del mass damper. Al successivo GP, in Germania, gli steward esaminano la Renault e la dichiarano legale, ma la FIA fa appello contro la decisione dei suoi stessi emissari. Per paura di venire squalificati, i francesi rimuovono il mass damper subito dopo le prove libere del venerdì. Due GP dopo, in Turchia, il dispositivo viene ufficialmente considerato illegale. La decisione è controversa nel merito (il mass damper è uno strumento aerodinamico o va incluso nel sistema delle sospensioni? Può essere considerato “carrozzeria”?) ma, soprattutto, nei modi. Anzitutto, contrariamente a decisioni precedenti (le sospensioni attive) e posteriori (il DAS della Mercedes 2020), il divieto di utilizzo del sistema non viene posticipato alla stagione successiva, ma viene imposto immediatamente. Inoltre, questa mossa scontenta tutti: la Renault, ovviamente, protesta perché un sistema viene considerato illegale dall’oggi al domani, costringendo la squadra a dover riprogettare la vettura. Per quanto, infatti, anche altre vetture utilizzassero il mass damper, nessun’altra ne aveva fatto un elemento centrale come la Renault (si diceva che il dispositivo, da solo, le facesse guadagnare anche 3 decimi al giro). Le altre scuderie, invece, si lamentano del fatto che Alonso e Fisichella abbiano corso per più di metà stagione con un auto tecnicamente illegale ma non gli sia stata comminata alcuna sanzione. Nessuno, però, si lamenta come Alonso e Briatore che, per quanto fossero a conoscenza del fatto che a sollevare il caso fosse stata la McLaren, cercano di fare guerra psicologica alla Ferrari, dandogli dei “mafiosi” e peggio. Già, perché dopo i famosi 84 punti in 9 gare, Nando ne conquista solo 32 nelle seguenti 7 e, a due gare dalla fine, Schumacher lo aggancia in testa al Mondiale. GP del Giappone, penultima gara. Il tedesco parte secondo ma dopo 3 giri supera Felipe Massa, suo compagno di squadra, e salta in testa. Alonso, partito quinto, rimonta fino al secondo posto, ma non si avvicina mai a meno di 4″ da Schumacher. Se finisse così, a Michael basterebbe un secondo posto in Brasile per vincere il suo 8° titolo, perché in caso di arrivo a pari punti lui avrebbe più vittorie di Nando. A 16 giri dal termine, però, accade l’imprevedibile. Dopo 6 anni (SEI ANNI) senza guasti al motore, il Ferrari 056 che spinge la macchina di Schumacher si rompe e lo costringe al ritiro. Culonso colpisce di nuovo e si congeda dalla Renault vincendo il suo secondo Mondiale consecutivo.

Nel 2007, il trasferimento di Alonso alla McLaren mette in moto un altro valzer di piloti. Raikkonen viene scelto dalla Ferrari su consiglio di Schumacher, che mantiene fede ai suoi propositi di ritiro, cosa che farà anche Montoya. La Renault, invece, per sostituire Nando, punta su Heikki Kovalainen, pilota del “vivaio” di cui si dice un gran bene ma che finirà per avere una carriera alquanto mediocre (si vede che Briatore in quel periodo aveva il raffreddore). La carriera sarà invece leggermente diversa per quell’altro giovane menzionato in precedenza, quello scelto dalla McLaren per far coppia con Nando. Il suo nome è Lewis Hamilton.

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Luigi Garzya, ex giocatore di calcio con trascorsi di medio-basso livello in Serie A, oggi è ricordato per una tragicomica intervista in cui si dichiarò “completamente d’accordo a metà con il mister”. Allo stesso modo, su Hamilton, la storia darà completamente ragione a metà a Ron Dennis. Sì, il ragazzo è veloce, molto veloce, dannatamente veloce. No, il ragazzo non ha alcuna intenzione di farsi intimidire né dal palmarès né dalla personalità ingombrante di Alonso. Finirà a podio in tutte le prime 9 gare della sua carriera, comprese 2 vittorie, le prime nella storia della F1 per un pilota dalla pelle nera. A Barcellona, 4° GP della stagione e della sua carriera, è già in testa al Mondiale. Nella gara dopo, a Monaco, è secondo dietro Nando (che lo aggancia in testa alla classifica Piloti), ma iniziano a emergere i primi contrasti. La gara è dominata dalle McLaren, che doppiano tutti gli altri piloti escluso Massa, ma negli ultimi giri Alonso, che ha un discreto vantaggio su Hamilton, rallenta il passo per preservare quelle pinze dei freni posteriori che hanno spesso avuto problemi di surriscaldamento sulla sua auto. Lewis si avvicina e inizia a mettere pressione a Nando, che deve tornare a spingere per proteggere la sua vittoria. Da un lato, come riporta una fonte interna alla scuderia dell’epoca, Alonso è arrabbiato per aver dovuto rischiare un guasto per vincere una gara che stava dominando. Dall’altro, in un’intervista alla BBC, Hamilton dichiara “ho provato ad attaccarlo, volevo vincere, ma devo accettare che io sono un rookie e lui ha il numero 1 sulla livrea. Sono la seconda guida e devo rispettarlo per il bene della squadra”. Lewis era stato più veloce di Nando nelle libere e pensava che la strategia di gara fosse stata fatta apposta per non farlo avvicinare troppo all’asturiano. La FIA aprirà un’indagine per verificare la presenza di ordini di scuderia, che all’epoca erano vietati. Si concluderà con un nulla di fatto, ma ormai è chiaro come il numero 2 a Hamilton vada stretto e come Alonso non sia affatto contento di avere un compagno di squadra così competitivo. Già che c’è, Nando ne approfitta per litigare anche con altri piloti. Al rocambolesco GP d’Europa, dopo 9 podi consecutivi, Hamilton finisce fuori dai punti e Alonso ne approfitta, superando Massa a 4 giri dalla fine con una manovra aggressiva, conquistando la sua terza vittoria stagionale e portandosi a -2 dal compagno di squadra. Prima del podio, i due si confronteranno in maniera piuttosto accesa e, se vi state chiedendo che lingua utilizzino uno spagnolo e un brasiliano per litigare, sappiate che non è l’inglese.

Tutte queste tensioni trovano la definitiva esplosione nell’appuntamento successivo, in Ungheria. Alonso si vendica di una “furbata” di Hamilton in qualifica e, sostando per 10 secondi sulla piazzola di sosta dopo il via libera dei meccanici, gli impedisce di tentare un ultimo assalto alla pole position, che finirà invece in mano sua. Anzi, finirebbe in mano sua, visto che i giudici di gara gli infliggono 5 posizioni di penalità in griglia, restituendo de facto la pole a Hamilton. Il mattino dopo, Nando è ancora incazzato nero. Va da Ron Dennis (che è stato visto in piazza Aspromonte a comprare 400.000 lire di cocaina gettare furiosamente le cuffie in terra dopo la mossa dello spagnolo) e gli dice chiaro e tondo che si sente vittima, che la sua azione era una mera ritorsione per quanto fatto prima da Hamilton e che vuole che in gara questo torto venga sanato. Qualora ciò non accada, minaccia di fare una cosa che Dennis vuole evitare a ogni costo. Quest’ultimo non cede al ricatto e arriva persino a valutare l’ipotesi di lasciarlo fuori dalla gara. Alla fine, Alonso correrà e arriverà quarto, mentre Hamilton finirà nella stessa posizione da cui era partito, conquistando la sua quarta vittoria stagionale e tornando a +7. Per Nando è la prova definitiva non solo che il top dog non sia più lui, ma che la scuderia stia ora favorendo in maniera sfacciata Hamilton. In fondo è inglese, la McLaren lo sta seguendo da quando aveva 11 anni e la storia del ragazzino locale (per giunta nero) che vince il Mondiale all’esordio sarebbe per loro uno storytelling ben più impattante di Alonso che vince il suo terzo titolo consecutivo.

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Senza più, a suo avviso, nulla da perdere, Alonso tiene fede alla sua parola. Due mesi prima, infatti, la Ferrari aveva denunciato Nigel Stepney, meccanico inglese tra i protagonisti dell’epoca d’oro di Schumacher e, qualche settimana dopo, l’aveva licenziato. Secondo l’accusa, Stepney, insoddisfatto del suo ruolo a Maranello, avrebbe iniziato a fornire illegalmente a un ingegnere della McLaren delle informazioni tanto dettagliate quanto segrete sugli sviluppi della Rossa. La FIA aveva aperto un’indagine ufficiale, che si era conclusa con la tragicomica sentenza secondo cui, sì, la McLaren aveva rubato informazioni riservate alla Ferrari ma non c’erano prove che le avesse utilizzate, quindi reprimenda ma zero penalità. Dopo i fattacci ungheresi, però, Alonso alza la cornetta e chiama Mondial Casa Max Mosley, all’epoca presidente della FIA. Gli dice chiaro e tondo che, in cambio dell’immunità, gli avrebbe fornito tutte le prove che voleva contro la McLaren. Mosley accetta e, a settembre, l’inchiesta viene riaperta “in seguito al reperimento di nuovo materiale probatorio”. Le stesse condizioni di Alonso vengono offerte a Hamilton (che rifiuterà) e al collaudatore Pedro de la Rosa (che accetterà): collaborazione in cambio di impunità. Saltano così fuori una serie di mail in cui, soprattutto i due spagnoli, discutono con gli ingegneri della McLaren di quali delle soluzioni tecniche trafugate applicare sulla loro vettura, perfettamente consapevoli di quello che stanno facendo e della provenienza delle suddette informazioni. L’indagine si chiuderà con una multa da 100 milioni di dollari e l’esclusione dal Mondiale Costruttori per la McLaren, mentre i piloti, come da accordi, verranno coperti dall’immunità e potranno continuare a giocarsi il Mondiale Piloti. A oggi, pur avendoci corso per 5 anni, Alonso non si è ancora scusato pubblicamente né con la Ferrari né con i suoi tifosi per il suo comportamento, né ha mai dichiarato di essersene pentito.

Tornando al Mondiale, Alonso vince a Monza e arriva altre 2 volte davanti a Hamilton, portandosi a -2 in classifica. Il GP del Giappone, invece, ricorda molto quello di 31 anni prima immortalato in Rush: si corre al Fuji e c’è una pioggia torrenziale, tanto che la partenza e i primi 19 giri avvengono in regime di safety car. Anche in questa gara, inoltre, avvengono due episodi chiave. Il primo è il ritiro di Alonso (primo ritiro dell’anno per una McLaren), che, forse tradito dall’aquaplaning, perde il controllo e finisce contro il muretto, in un incidente che ricorda molto da vicino Hockenheim 2018 ma di cui tutti si sono già magicamente scordati. Il secondo è diretta conseguenza di questo episodio. Esce di nuovo la safety car con Hamilton davanti alla Red Bull di Mark Webber e alla Toro Rosso, ovvero l’ex-Minardi acquistata dai “bibitari” e trasformata nel loro junior team, guidata da un ragazzino tedesco, 6 anni meno di Alonso e 2 meno di Hamilton, alla sua stagione di esordio in F1 e capace di andare a punti alla sua prima gara ufficiale, diventando il pilota più giovane di sempre nel fare ciò. Il suo nome è Sebastian Vettel. Succede, quindi, che in regime di safety car Vettel tamponi Webber, causando il ritiro di entrambi. Quando parlo di accanimento mediatico contro Seb intendo proprio questo, visto che tutt’ora ci sono giornalisti, peraltro molto bravi, che mettono questo episodio tra i suoi 10 peggiori errori in carriera. Anche la FIA sembrerebbe pensarla così, visto che a fine gara infligge una penalità di 10 posizioni in griglia a Vettel da scontare nel GP successivo. Peccato che, a seguito della disponibilità di nuovo materiale, la sentenza venga annullata, in quanto appare ora chiaro come a causare il botto sia stato il “dangerous driving” di Hamilton, che ha inchiodato (peraltro sotto la pioggia) e costretto Webber a fare lo stesso per non sorpassarlo in regime di safety car, cogliendo di sorpresa l’ancora inesperto Vettel (so che state tutti pensando a Baku 2017 in questo momento, evidentemente Hamilton ha questo vizietto). Teoricamente, questa mossa di Lewis sarebbe passibile di squalifica o, quantomeno, di penalizzazione, ma diventerà invece la prima di una lunga serie di impunità che ad altri piloti non verranno concesse. In ogni caso, con questa vittoria Hamilton si porta a +12 su Alonso e a +17 su Raikkonen con solo due gare rimaste. Gli bastano 9 punti in 2 gare (quindi un quarto e un quinto posto) per diventare il primo pilota della storia a vincere il Mondiale nella stagione d’esordio, nonché il più giovane e il primo nero. In Cina, Hamilton parte dalla pole e resta in testa per 30 giri, quando le gomme iniziano a degradarsi rapidamente. Il muretto McLaren decide comunque di mantenere la strategia originale, ma Lewis va lungo a una curva e Raikkonen lo sorpassa. Poco male, finisse così la gara, con Alonso in quarta posizione, il Mondiale sarebbe comunque suo. Peccato che, nell’entrare ai box, Hamilton, con la posteriore destra quasi distrutta dal blistering, sottovaluti la stretta curva a sinistra prima del rettilineo e finisca con la macchina arenata nella sabbia. Primo ritiro in carriera per Lewis e, con la vittoria di Raikkonen e il secondo posto di Alonso, Mondiale riaperto.

Alla vigilia del GP del Brasile, Hamilton è a +4 su Alonso e +7 su Raikkonen. L’ultima volta che un Mondiale è arrivato all’ultimo GP con 3 piloti ancora in lizza è stato nel 1986. All’inglese basta un secondo posto per laurearsi Campione, addirittura un quinto se non dovesse vincere Nando. Allo spagnolo, invece, serve vincere con Hamilton terzo o peggio. Per Kimi, l’impresa è disperata, dovrebbe vincere con Alonso al massimo terzo e Hamilton al massimo quinto. Al sabato, tra i 3 litiganti il quarto gode, ovvero la pole va a Massa, con Hamilton secondo, Raikkonen terzo e Alonso quarto. Al via sia Kimi che Nando passano subito Lewis, il quale, per cercare di riprendersi la posizione, blocca i freni ed esce di pista, rientrando 8°. Dopo 4 giri è già 6° ma, poco dopo il sorpasso ai danni di Nick Heidfeld, il cambio della sua McLaren si blocca in folle. Per ben 30″ è costretto a girare di inerzia, poi con l’equivalente dello “spegni e riaccendi”, panacea di tutti i mali informatici, risolve la situazione e recupera il suo passo. Peccato, però, che ne mentre sia finito 18°. Intanto, le due Ferrari hanno fatto il vuoto, mettendo ben 12″ tra loro e Alonso. Raikkonen passa Massa in occasione del secondo pit stop, guadagna la testa della gara e, con il brasiliano a coprirgli le spalle da Nando, si trova inaspettatamente in testa al Mondiale. Alonso viene sorpassato persino dalla BMW di Robert Kubica, ma Hamilton rimonta e, pur essendo a un minuto di distacco da Raikkonen, a 14 giri dalla fine è 9°. Altre 4 posizioni e il Mondiale sarebbe suo. Passano due giri e Hamilton sorpassa David Coulthard, 8° posto e giro veloce. Alonso è di nuovo 3°, ma Massa è irraggiungibile. Hamilton sorpassa anche Jarno Trulli, ma non riuscirà a risalire ulteriormente. Con un solo punto di vantaggio finale sulla coppia della McLaren, dopo essere stato a -17 a due gare dalla fine, Raikkonen sorprende tutti, diventando il primo pilota finlandese a vincere il Mondiale F1, il terzo pilota a vincere il Mondiale al suo primo anno in Ferrari (dopo Juan Manuel Fangio e Jody Scheckter) e il secondo pilota a vincere il Mondiale pur essendo in terza posizione alla vigilia dell’ultima gara (dopo Nino Farina su Alfa Romeo nel 1950, prima edizione del Mondiale F1). Mentre qualche emozione traspira perfino dalla faccia di Iceman, sul podio Alonso fa fatica a trattenere una risata beffarda. Sì, ha perso il Mondiale, ma almeno non l’ha vinto Hamilton e per quest’anno va bene così.

Ovviamente, è impensabile che la coppia scoppiata rimanga insieme anche per il 2008, così McLaren e Renault si scambiano de facto i piloti. Kovalainen viene affiancato a Hamilton mentre Alonso torna a Enstone, dove troverà un altro esordiente come compagno di squadra. Si tratta di Nelson Piquet jr., figlio del 3 volte Campione del Mondo negli anni ’80, che, però, dal padre ha ereditato il nome e poco più. Tra quel “poco più”, sicuramente, non rientra il talento dietro al volante. Anche per questo, si dimostrerà decisamente più docile, rispetto a Hamilton, nei confronti di Alonso. Forse fin troppo. Di cosa sto parlando? Andiamo con ordine. Nel 2008 si ripropone la sfida tra Ferrari e McLaren, mentre la R28 di Alonso si rivela poco competitiva, con Nando che conquista la miseria di 9 punti nelle prime 7 gare. La macchina viene molto sviluppata sul profilo aerodinamico e, pur rimanendo inferiore a Ferrari e McLaren, diventa più competitiva, tant’è che dopo 14 gare giù dal podio, Alonso riesce a vincere il quartultimo GP della stagione, passato alla storia per 3 motivi. Il primo GP di sempre in notturna, il primo GP di sempre nel circuito cittadino di Marina Bay, Singapore, e una brutta storia che vede coinvolto anche Nando. In qualifica, entrambe le Renault sono un’enorme delusione e, il giorno dopo, Alonso e Piquet partono rispettivamente 15° e 16°. Mentre Massa, che nel frattempo è diventato il principale avversario di Hamilton per il Mondiale, sta conducendo la gara davanti all’inglese, dopo solo 12 giri Alonso è il primo pilota a fermarsi ai box. 2 giri dopo, Piquet si schianta contro il muro alla curva 17, il ché, in un circuito cittadino, vuol dire safety car. Con la pit lane che rimane chiusa finché tutte le auto non si sono accodate, ai box succede il pandemonio, con Massa che riparte dalla sosta con il tubo di rifornimento ancora attaccato all’auto, cosa che lo farà rientrare ultimo in pista e che gli costerà anche un drive through. Alonso, grazie al suo pit stop prematuro, riuscirà a impostare la strategia su una sola sosta e, soprattutto, a evitare il traffico delle auto più lente trovatesi davanti a causa della safety car, cosa che, in un circuito cittadino stretto e tortuoso, fa tutta la differenza del mondo. Come accennato, Alonso vince e la stampa loda lui e la Renault per la “tattica brillante” adoperata. Qualcuno, però, va oltre al ritorno di Culonso e inizia a sospettare che l’incidente di Piquet non sia stato così casuale come i diretti interessati dichiarano. Joe Saward, giornalista freelance, sarà tra i pochissimi a citare la cosa, seppur etichettando queste persone come “ciniche” e aggiungendo che “voglio credere che nessuna squadra sia così disperata da ordinare a un suo pilota di schiantarsi contro un muro”. Eppure, secondo la TV brasiliana, il grande sconfitto di giornata, Felipe Massa, avrebbe lanciato qualche sospetto contro Briatore, ma Mosley avrebbe risposto “non si possono avviare azioni disciplinari basate su semplici sospetti”. A fine 2009, dopo un’altra stagione deludente, la Renault licenzierà in tronco Piquet, il quale, un po’ come Alonso con la McLaren nel 2007, vuoterà il sacco alla FIA, fornendo prove del fatto che l’incidente di Marina Bay fu tutt’altro che casuale: gli fu ordinato di schiantarsi esattamente in quel punto e in quel giro, per far uscire la safety car e far vincere Alonso. La Renault verrà squalificata dalla F1 con pena sospesa per 2 anni: tradotto, se entro il 2011 fossero incappati in un’altra sanzione seria, la scuderia sarebbe stata radiata. Briatore verrà radiato a vita mentre Pat Symonds, capo ingegnere della Renault e co-cospiratore, verrà squalificato per 5 anni. Nonostante Piquet abbia più volte sostenuto che Alonso “non poteva non sapere”, l’asturiano non verrà coinvolto nel processo. Da un lato, è chiaro come Briatore e Symonds abbiano cercato di coinvolgere il minor numero possibile di persone, come emerge dai team radio di quel giorno, in cui altri ingegneri sembrano sinceramente stupiti della strategia apparentemente assurda messa in piedi dal secondo. Inoltre, non c’è effettivamente nessuna prova tangibile che dimostri il coinvolgimento di Nando, quindi la sua mancata condanna, dal punto di vista legale, è ineccepibile. Dall’altro, è difficile pensare di organizzare un complotto per far vincere un pilota e non informare il diretto interessato. Inoltre, conoscendo il temperamento di Alonso e le sue celebri lamentele nei confronti dei suoi ingegneri durante tutta la sua carriera, è piuttosto strano pensare che non abbia fiatato quando è stato richiamato ai box dopo soli 12 giri. Infine, qualche malpensante potrebbe financo pensare che, dopo lo Spygate del 2007, si sia fatto furbo e si sia comportato in modo da invocare la plausible deniability qualora la storia fosse uscita. In ogni caso, nonostante questa storia e nonostante finisca il Campionato con il maggior numero di punti nelle ultime 5 gare, il 2008 è un anno deludente per Alonso. Massa andrà vicino a emulare Raikkonen, arrivando all’ultimo GP a -7 da Hamilton, vincendo in scioltezza e superando virtualmente l’inglese, il quale però riuscirà a conquistare il Mondiale all’ultima curva superando Timo Glock, rimasto con le gomme da asciutto sotto la pioggia battente. Piccolo excursus. Nel 2008, Facebook era in ascesa, ma neanche lontanamente popolare e potente com’è oggi. Mi accorsi del suo potenziale proprio dopo il drammatico GP di Interlagos, quando a soli pochi minuti dalla fine della gara, era già nata almeno una dozzina di gruppi intitolati “Timo Glock l’ha fatto apposta” o simili, insieme a uno, di opposta fede e nazionalità, intitolato “Timo Glock should be knighted”. L’inglese, quindi, dopo soli 3 anni batte il record di Alonso e diventa lui il più giovane Campione del Mondo della storia. La beffa, per Nando, è che, senza il casino di Singapore, probabilmente Massa avrebbe vinto la gara e, con quei punti, il Mondiale. Oltretutto, a Monza, correndo sull’erede della Minardi (per quanto sia assurdo fare paragoni in questo senso), Vettel gli aveva soffiato i record per pilota più giovane a conquistare una pole position (tutt’ora da lui detenuto) e a vincere un GP. Per la cronaca, è in quel momento che decisi che il successore di Raikkonen, nel mio cuore automobilistico, sarebbe stato lui.

Alonso rimane alla Renault anche nel 2009, che si rivelerà uno dei campionati più assurdi di sempre. Gli equilibri vengono completamente rimescolati da una serie di nuove regole volte a minimizzare l’impatto della crisi finanziaria dell’anno precedente. Tra le conseguenze di quest’ultima, c’è l’addio della Honda alla F1. Dopo aver dominato da motorista negli anni ’80, nel 2006 aveva provato a lanciarsi come scuderia, rilevando la British American Racing (BAR), di cui erano già azionisti, e ribattezzandola Honda Racing. Nonostante gli arrivi di Ross Brawn e Rubens Barrichello dalla Ferrari e le offerte ai top driver del momento (tra cui Alonso), la Honda si farà notare più per le fantasiose livree che per i risultati in pista (una vittoria e altri 3 podi in 3 stagioni).

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Nel 2009, quindi, la Honda cede ben volentieri a quello che in gergo si chiama management buyout, vendendo il pacchetto azionario di maggioranza a una cordata di manager della stessa impresa, capeggiata proprio da Ross Brawn. Nel pensare al nome della nuova scuderia, si pensa di rievocare quello della Tyrrell, che venne rilevata proprio dalla BAR nel 1998, ma alla fine si propenderà per un molto meno evocativo “Brawn GP”. La poca fantasia nel nome viene però compensata nella progettazione della BGP 01. Interpretando in maniera “estrema” le nuove regole sull’aerodinamica, l’auto viene dotata di un doppio diffusore capace di generare ancora più effetto suolo, aumentando l’aderenza e, quindi, la tenuta in curva. Tra le proteste degli altri team, che considerano irregolare questa soluzione, la BGP 01 di Button vince 6 delle prime 7 gare del Mondiale, dando all’inglese già 26 punti di vantaggio sul compagno di squadra e 32 su Vettel, nel frattempo “promosso” in Red Bull. Saranno proprio il pilota tedesco e la scuderia austriaca i protagonisti della seconda metà di stagione, ma è troppo poco e troppo tardi. La Brawn GP riesce nella storica impresa di vincere il Mondiale (anzi, i Mondiali) al primo anno e, probabilmente, rimarrà l’unica scuderia con il 100% di vittorie in carriera.

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Già, perché nel novembre dello stesso anno, Brawn e soci vendono il 75% delle azioni alla Mercedes-Benz, che ribattezza la scuderia “Mercedes GP” e, per il 2010, ne rivernicia la carrozzeria con il tradizionale grigio argento. Forse per compensare il fatto che la sede del quartier generale sia a Brackley, un quarto d’ora scarso di macchina dal circuito di Silverstone, la Mercedes decide di andare voll deutsch sui piloti. Con Vettel blindato dalla Red Bull, vengono ingaggiati il 25enne figlio d’arte Nico Rosberg e, soprattutto, dopo 3 anni di inattività, Michael Schumacher. Come accennato, la Red Bull conferma Vettel e Webber. La McLaren conferma Hamilton e si riprende il numero 1 sulla livrea ingaggiando Button. Chi manca tra i candidati protagonisti per il 2010? La Ferrari, naturalmente. Dopo due stagioni un po’ sottotono, hanno deciso di dare il benservito a Raikkonen e confermare Massa, seppur reduce da un brutto incidente che gli ha fatto saltare mezza stagione. Forse perché, nonostante il titolo sfiorato nel 2008, è considerato un compagno di squadra maggiormente compatibile con quello che è sempre stato il “sogno proibito” del presidente Montezemolo, che lo voleva già nel 2007. Un pilota che ha vissuto l’ultimo anno sonnecchiando (un solo podio, nono in classifica), ma il cui talento è fuori discussione. Lui vuole una macchina competitiva, la Ferrari un pilota competitivo, entrambi vogliono il Mondiale. Il matrimonio è inevitabile. Non c’è bisogno che vi dica di chi si tratta, vero?

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(continua…)