Anvedi come balla Nando (prima parte)

Come tutti sappiamo, dalla stagione 2021 Sebastian Vettel non guiderà più per la Ferrari. Questa decisione ha scatenato un valzer di sedili: quello di Seb è stato preso da Carlos Sainz jr., che a sua volta verrà sostituito in McLaren da Daniel Ricciardo, che a sua volta verrà sostituito in Renault da… Fernando Alonso! La notizia ha suscitato abbastanza clamore, in quanto l’asturiano è reduce da 2 anni di assenza dalla Formula 1 e, a fine luglio, compirà 40 anni. Di “Nando”, però, non si è mai smesso di parlare, almeno in Italia, e questo, a mio avviso, per due caratteristiche profondamente radicate nella tradizione italiana: la nostalgia dalla memoria selettiva e la velocità nel salire sul carro dei vincitori (e nello scendere da quello dei perdenti). Ricordo, da un esame universitario sul giornalismo, come veniva descritta la principale differenza tra quello di stampo anglo-americano e quello europeo. Nel primo caso, si tende a separare quanto più possibile i fatti dalle opinioni. Non a caso, in tutti i maggiori quotidiani degli USA esiste la famosa newsroom, ovvero la redazione che si occupa delle notizie, e, separata, quella che scrive i pezzi di opinione. In Europa, invece, il confine è molto più sfumato. È come se si desse per assodato, sia lato giornale che lato lettore, che, per quanto ci si sforzi di essere intellettualmente onesti, ci sarà sempre un bias che influenzerà, anche incoscientemente, il giornalista e, semplicemente, lo si accetta. Tralasciando il fatto che, al giorno d’oggi, come accennavo in precedenza, i giornali italiani hanno la rincorsa del lettore come mission e, quindi, si spostano sempre più dalla tribuna stampa alla curva (con poche ma lodevoli eccezioni, ovviamente), volevo usare la nozione con cui ho aperto il paragrafo per mettere subito in chiaro come la penso io. Vettel è, insieme forse a Kimi Raikkonen, il pilota che più ho amato da quando seguo la Formula 1. Certo, ci sarebbe anche Schumacher, ma le significative differenze del contesto fanno sì che confermi la frase precedente. Alonso, invece, non l’ho mai amato. Ovviamente l’ho tifato nel suo periodo ferrarista e ne riconosco la grandezza come pilota, ma mi è sempre rimasto quel retrogusto di antipatia nei suoi confronti, più o meno quello che provo attualmente per Charles Leclerc. Ci sono altre similitudini che contrappongono il binomio Raikkonen-Vettel a quello Alonso-Leclerc. I primi due non sono mai stati visti troppo bene dalla stampa italiana, anzi. Del finnico, prima di diventare un’icona “bomber”, probabilmente non si apprezzava il trattamento schivo, quando non apertamente ostile, nei confronti dei giornalisti, i quali ricambiavano gettando continuamente dubbio e discredito sul suo talento. Il tedesco, invece, ha dovuto fare i conti con una nazionalità non troppo gradita a Sud delle Alpi (anche Schumacher ha ricevuto un trattamento analogo prima di iniziare a vincere con la Ferrari) e con qualche errorino di troppo alla guida. Alonso e Leclerc, invece, sono stati trattati in maniera diametralmente opposta. Nando è spagnolo e, nonostante ci fosse già una discreta acredine sportiva con gli italiani, erano gli anni della crisi del debito sovrano e, per i giornali, era più vendibile la narrazione dei due PIIGS contro il tedesco Vettel e l’austriaca Red Bull (narrazione peraltro cavalcata dallo stesso Alonso). Leclerc, invece, è monegasco, quindi parla una lingua simile al dialetto di Imperia, e fa parte della Ferrari Driver Academy da abbastanza tempo per parlare un italiano quasi impeccabile. Inoltre, la narrazione del giovane “del vivaio” che diventa la punta di diamante della prima squadra ha sempre fatto presa in tutti gli sport. Comunque sia, visto che ultimamente ho letto qualche articolo su Alonso che, un po’ come (il pur bellissimo) The Last Dance, somiglia più a un’agiografia che a una biografia, proverò a raccontarvi io la carriera di Nando fino al suo (primo) ritiro.

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Fernando Alonso Díaz nasce a Oviedo, nel Principato delle Asturie, comunità autonoma della Spagna settentrionale, da una famiglia operaia. Papà José Luis lavora come operaio in una fabbrica che produce esplosivi da utilizzare nelle varie miniere di carbone della regione, mentre mamma Ana è una commessa in un grande magazzino. José Luis è stato un pilota di kart amatoriale in gioventù e vorrebbe condividere la passione con i suoi due figli. Costruisce un kart a pedali, modellato sull’immagine di una Formula 1, per la figlia maggiore, Lorena, di 8 anni, ma l’amore non scoppia. Diverso, invece, è il discorso di Fernando, che a soli 3 anni si dimostra ampiamente a suo agio dietro al volante.

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Inizia quindi a correre con i kart veri e propri, nonostante si tratti di uno sport alquanto dispendioso. Alonso corre con le slick sotto la pioggia perché la sua famiglia non si può permettere le gomme da bagnato e, così facendo, affina la sua sensibilità. Essendo così giovane, cresce rapidamente in statura e, di conseguenza, la tuta vecchia non gli va più bene. Peccato che le tute da pilota siano piuttosto costose, così mamma Ana si ritrova a tagliare e ricucire la vecchia tuta in modo da adattarla alle nuove dimensioni di Nando. A 7 anni corre (e vince) la sua prima gara ufficiale e, poco tempo dopo, trova in Genis Marcò, un importatore di kart, il suo mecenate, colui che gli finanzierà gli inizi di carriera e che, insieme al 6 volte Campione del Mondo di kart Mike Wilson, gli insegnerà l’importanza di correre in maniera conservativa per ridurre l’usura meccanica. A 14 anni inizia a correre nelle divisioni junior del Mondiale di kart e, per raggranellare qualche peseta, fa da meccanico ai piloti più giovani. Nel frattempo, per mantenersi allenato, gioca a calcio, in porta, e arriva perfino a rifiutare un’offerta del Celta Vigo che lo vorrebbe nelle sue giovanili. Si sviluppano, così, in questi anni alcune delle qualità che Alonso manterrà costanti nella sua carriera: la competenza tecnica, la capacità di adattarsi all’usura del mezzo e l’attenzione costante alla sua forma fisica. Le sue buone prestazioni vengono notate dall’ex-pilota di F1 Adrián Campos, allora proprietario di un team in Formula 3000, che nel 1999 gli propone di prendere il posto del suo connazionale Marc Gené (sì, quello delle striccenere su Sky), appena passato in F1. Nella stagione di esordio nella Nissan Euro Open, Nando conquista 6 vittorie e, soprattutto, il titolo, all’ultima gara, nonostante il suo rivale, il portoghese Manuel Gião, lo accusi di averlo sorpassato in regime di bandiera gialla. L’anno dopo, grazie anche allo sponsor Telefonica, corre per il team Astromega, in orbita Minardi, nel Campionato Internazionale di Formula 3000, dove avrà come ingegnere di pista l’inglese Rob Smedley. Tenetevi a mente questo nome, perché ci servirà in seguito.

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Terminerà il campionato al quarto posto, conquistando la piazza d’onore in Ungheria e vincendo l’ultima gara della stagione, in Belgio. La Minardi inizia a interessarsi seriamente a lui e, dopo aver ben figurato in una serie di test, lo ingaggia come collaudatore del team di F1 per la stagione 2000. A Nando, però, questo ruolo sta stretto, vuole tornare alle gare, ha fretta di imparare perché nella sua mente l’obiettivo è già quello di diventare Campione del Mondo. Così, attraverso Campos, riesce a ottenere un colloquio con Jean Todt, all’epoca team principal della Ferrari. Il manager francese ha già sentito parlare di Alonso e i due raggiungono un accordo verbale: porta pazienza, l’anno prossimo ti faranno correre. Non firmare con nessuno che, se te la cavi bene, la prossima volta che tornerai a Maranello sarà da dipendente. Poco dopo, però, entra nella vita di Nando una persona che sarà determinante per il suo futuro: Flavio Briatore. Anche questo personaggio è piuttosto controverso e chi scrive nutre ben poca stima nei suoi confronti. Va però riconosciuto al manager cuneese il fatto di avere un certo fiuto per quanto riguarda il talento al volante. Fu lui, del resto, a sfruttare le pieghe del primo contratto in F1 di Michael Schumacher per fregarlo alla Jordan e portarlo alla sua Benetton dopo un solo GP corso dal tedesco. Briatore “fiuta” che Alonso è un cavallo di razza, ne diventa manager e dice chiaro e tondo a Todt che il loro accordo verbale potrebbe tornargli utile qualora finisse la carta igienica. A dicembre, la Minardi concede a Nando di effettuare una serie di test sulla Benetton, che, nel frattempo, era stata acquisita dalla Renault e aveva rimesso Briatore a capo della baracca. Alonso ottiene così abbastanza chilometraggio da ottenere la Superlicenza FIA e, grazie all’accordo tra Benetton e Minardi, ottiene di partecipare al Mondiale 2001 come pilota ufficiale su quest’ultima.

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Per Alonso è un’ottima opportunità di fare esperienza, visto che la Minardi, da sempre, è una macchina abbonata alle ultime file della griglia e, senza la pressione di dover conquistare dei punti, ha tutto il tempo di adattarsi al left foot braking e alla realtà della F1. Inizia anche un sodalizio con due fisioterapisti che gli forniscono un calendario di allenamenti e una dieta per tenere costante il suo peso durante la stagione. Al suo fianco, in Minardi, si alterneranno il brasiliano Tarso Marques e il malese Alex Yoong, ma nessuno di loro riuscirà a fare meglio di Nando, che chiuderà il campionato al 23° posto con 0 punti ma, in Germania, arriverà 10°, posizione che, con il sistema di punteggio attuale, gli sarebbe valsa 1 punto. Iniziano a circolare voci su scuderie interessate a ingaggiarlo, ma Briatore non ne vuole sapere. Per un momento considera perfino di scaricare Jenson Button, che ha reso meno del previsto al suo esordio in Benetton (nel frattempo rinominata ufficialmente Renault), ma poi rimanda tutto al 2003, optando per fargli fare un altro anno da collaudatore. Alonso si trova subito a suo agio sulla R23, che risponde bene alle modifiche all’assetto e le cui gomme Michelin gli consentono di guidare in maniera aggressiva.

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Tempo 2 GP e, in Malesia, Alonso diventa il pilota più giovane di sempre a conquistare una pole position, in una prima fila tutta Renault con il nuovo compagno di squadra, l’abruzzese Jarno Trulli, di fianco a lui. In gara finirà terzo, il suo primo podio in carriera, ma dovrà solo aspettare l’Ungheria per diventare il pilota più giovane di sempre a vincere una gara, battendo il record di Bruce McLaren che durava da 44 anni e permettendosi pure il lusso di doppiare Schumacher, la cui Ferrari stava attraversando un periodo di pessima forma.

Chiuderà il campionato al sesto posto, a soli 3 punti da Ralf Schumacher e con 4 punti in più di David Coulthard, entrambi molto più esperti di lui e al volante di due macchine ben più veloci della R23. Prima della stagione 2004, Alonso si reca di frequente a Enstone, dove la Renault F1 ha la sua fabbrica, e partecipa attivamente allo sviluppo della R24. Nonostante la soddisfazione per la macchina prodotta e un Mondiale con 2 gare in più dell’anno precedente, Alonso conquista solo 4 punti in più dell’anno prima, senza alcuna vittoria e con 4 podi, gli stessi del 2003. Da un lato, va detto che quell’anno non ce n’è per nessuno, visto che la F2004 di Schumacher e Barrichello si dimostra una delle auto più dominanti di sempre, vincendo 15 gare su 18 (di cui 8 doppiette) e che Nando conquista comunque 13 punti in più di Trulli. Dall’altro, è proprio il pilota pescarese a conquistare una delle 3 vittorie sfuggite alla Ferrari, a Monaco. Vale la pena raccontare quell’episodio. Trulli aveva conquistato la pole ed era rimasto in testa per tutto il GP, con Alonso dietro a inseguirlo. Dopo i pit stop, Alonso lo aveva quasi recuperato, ma, per la foga, aveva sbattuto nel tunnel, con conseguente ritiro. Trulli, che era anch’esso sotto il management di Briatore ma il cui contratto scadeva a fine stagione, a fine gara aveva visto il brizzolato cuneese corrergli incontro e abbracciarlo calorosamente a favore di telecamera. Nell’orecchio, però, gli aveva sussurrato: “sei stato fortunato, se Nando non sbatteva vinceva lui”. Nonostante Trulli fosse rimasto davanti ad Alonso in classifica fino a 4 GP dal termine, in lui era maturata la sensazione che il team stesse favorendo l’asturiano e che stesse combattendo contro di lui una vera e propria guerra psicologica. Proprio a Monza, la gara in cui avviene il sorpasso in classifica, Trulli decide di cambiare aria e firmare con la Toyota per il 2005, mentre la Renault si riprende Fisichella.

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Come accennato, il campionato viene dominato da Schumacher (5° titolo Piloti consecutivo) e dalla Ferrari (6° titolo Costruttori consecutivo). Contrariamente a quanto succede ora con la Mercedes, all’epoca la FIA non vedeva di buon occhio le egemonie, così, dopo averci provato 2 anni prima, viene varata per il 2005 una radicale modifica al regolamento. Ogni motore dovrà durare almeno 2 gare consecutive e, soprattutto, i cambi gomme durante la gara saranno consentiti solo in caso di forature, danni sostanziali o significativi cambiamenti meteo. Quest’ultima regola penalizzerà fortemente le 3 scuderie ancora legate alla Bridgestone (Jordan, Minardi e, soprattutto, Ferrari) mentre favorirà quelle fornite dalla Michelin, tra cui la Renault e la McLaren. La R25 del team francese domina i test pre-stagione e la prima parte di campionato: Fisichella vince in Australia, mentre Alonso vince la gara dopo, in Malesia, e si porta in testa al Campionato, dove nessuno lo spodesterà più per tutto l’anno. Il terzo posto conquistato in Brasile, terzultima gara, nel giorno dell’ultima vittoria in F1 di Juan Pablo Montoya, gli vale la matematica certezza di essere diventato il più giovane Campione del Mondo di sempre (24 anni e 58 giorni), battendo il record di Emerson Fitti-fucking-paldi (cit.) che resisteva da ben 33 anni.

Formula One World Championship

7 vittorie, 15 podi in 19 gare, 133 punti finali. +21 punti su Raikkonen, secondo classificato. Difficile dire che non sia un Mondiale meritato. Ci sarebbe solo un “però”, ed è relativo al soprannome che qualcuno ha cominciato ad affibiargli, ovvero Culonso. Durante l’anno, infatti, a Raikkonen ne capitano di tutti i colori. La sua McLaren MP4-20 è veloce ma molto poco affidabile. Tralasciando tutte le penalità subite in qualifica (-10 posizioni a botta) per prematura supercazzola sostituzione del motore, in ben 3 occasioni Kimi deve ritirarsi per problemi meccanici (quindi non per errori suoi) mentre è in testa alla gara. Fanno 30 punti in meno. Aggiungiamo che in tutte e 3 le occasioni Alonso gli ha “rubato” la vittoria e sono 36 punti totali regalati dalla McLaren a Nando. Tornate qualche riga in su a ripassare il margine con cui ha vinto il Mondiale e fatevi due conti. Scomodare Steven Bradbury sarebbe esagerato nonché ingeneroso, però è innegabile che la buona sorte sia stata divisa in maniera quantomeno iniqua tra i due contendenti al titolo.

A Ron Dennis, team principal proprio della McLaren, questi discorsi non interessano minimamente. Subito dopo il GP del Brasile, chiede ad Alonso la sua disponibilità a correre per loro nel 2007. Nando chiede delucidazioni su chi sarebbe, nel caso, il suo compagno di squadra, in quanto non intende che il suo status di prima guida sia minimamente messo in discussione. Dennis lo rassicura, i contratti di Raikkonen e Montoya scadranno nel 2006 e non verranno rinnovati, come seconda guida hanno pensato di lanciare un giovane esordiente che, secondo loro, è già abbastanza veloce per poter togliere punti ai suoi avversari ma che sicuramente non avrà problemi a mettersi al servizio di uno con il curriculum di Alonso. 3 settimane dopo, c’è la firma sul contratto. Prima di trasferirsi a Woking, però, c’è un Mondiale da difendere. Dopo la clamorosa figura di merda in mondovisione a Indianapolis, la FIA ha ripristinato i cambi gomme durante la gara, assottigliando di molto il vantaggio competitivo della Michelin (che si sarebbe ritirata dalla F1 l’anno successivo) sulle Bridgestone. Inoltre, si vocifera che questo sarà l’ultimo anno di Michael Schumacher prima del ritiro: il Kaiser è determinato a lasciare con il botto e la Ferrari ha lavorato duramente per dargli un auto competitiva. Il 2006 si preannuncia quindi come una sfida epica tra uno che il Mondiale l’ha vinto 7 volte e uno che, con 12 anni in meno sulle spalle, sembra avere tutto per emularlo. In realtà, nelle prime 9 gare, di epico c’è ben poco. Alonso ne vince 6 e guadagna 84 punti su 90 disponibili, mettendo già 25 punti tra lui e Schumacher (ricordiamo che all’epoca una vittoria valeva 10 punti). Il colpo di scena avviene però due gare dopo: alla fine del GP di Francia, la FIA inizia a sollevare dubbi sulla legalità del mass damper. Al successivo GP, in Germania, gli steward esaminano la Renault e la dichiarano legale, ma la FIA fa appello contro la decisione dei suoi stessi emissari. Per paura di venire squalificati, i francesi rimuovono il mass damper subito dopo le prove libere del venerdì. Due GP dopo, in Turchia, il dispositivo viene ufficialmente considerato illegale. La decisione è controversa nel merito (il mass damper è uno strumento aerodinamico o va incluso nel sistema delle sospensioni? Può essere considerato “carrozzeria”?) ma, soprattutto, nei modi. Anzitutto, contrariamente a decisioni precedenti (le sospensioni attive) e posteriori (il DAS della Mercedes 2020), il divieto di utilizzo del sistema non viene posticipato alla stagione successiva, ma viene imposto immediatamente. Inoltre, questa mossa scontenta tutti: la Renault, ovviamente, protesta perché un sistema viene considerato illegale dall’oggi al domani, costringendo la squadra a dover riprogettare la vettura. Per quanto, infatti, anche altre vetture utilizzassero il mass damper, nessun’altra ne aveva fatto un elemento centrale come la Renault (si diceva che il dispositivo, da solo, le facesse guadagnare anche 3 decimi al giro). Le altre scuderie, invece, si lamentano del fatto che Alonso e Fisichella abbiano corso per più di metà stagione con un auto tecnicamente illegale ma non gli sia stata comminata alcuna sanzione. Nessuno, però, si lamenta come Alonso e Briatore che, per quanto fossero a conoscenza del fatto che a sollevare il caso fosse stata la McLaren, cercano di fare guerra psicologica alla Ferrari, dandogli dei “mafiosi” e peggio. Già, perché dopo i famosi 84 punti in 9 gare, Nando ne conquista solo 32 nelle seguenti 7 e, a due gare dalla fine, Schumacher lo aggancia in testa al Mondiale. GP del Giappone, penultima gara. Il tedesco parte secondo ma dopo 3 giri supera Felipe Massa, suo compagno di squadra, e salta in testa. Alonso, partito quinto, rimonta fino al secondo posto, ma non si avvicina mai a meno di 4″ da Schumacher. Se finisse così, a Michael basterebbe un secondo posto in Brasile per vincere il suo 8° titolo, perché in caso di arrivo a pari punti lui avrebbe più vittorie di Nando. A 16 giri dal termine, però, accade l’imprevedibile. Dopo 6 anni (SEI ANNI) senza guasti al motore, il Ferrari 056 che spinge la macchina di Schumacher si rompe e lo costringe al ritiro. Culonso colpisce di nuovo e si congeda dalla Renault vincendo il suo secondo Mondiale consecutivo.

Nel 2007, il trasferimento di Alonso alla McLaren mette in moto un altro valzer di piloti. Raikkonen viene scelto dalla Ferrari su consiglio di Schumacher, che mantiene fede ai suoi propositi di ritiro, cosa che farà anche Montoya. La Renault, invece, per sostituire Nando, punta su Heikki Kovalainen, pilota del “vivaio” di cui si dice un gran bene ma che finirà per avere una carriera alquanto mediocre (si vede che Briatore in quel periodo aveva il raffreddore). La carriera sarà invece leggermente diversa per quell’altro giovane menzionato in precedenza, quello scelto dalla McLaren per far coppia con Nando. Il suo nome è Lewis Hamilton.

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Luigi Garzya, ex giocatore di calcio con trascorsi di medio-basso livello in Serie A, oggi è ricordato per una tragicomica intervista in cui si dichiarò “completamente d’accordo a metà con il mister”. Allo stesso modo, su Hamilton, la storia darà completamente ragione a metà a Ron Dennis. Sì, il ragazzo è veloce, molto veloce, dannatamente veloce. No, il ragazzo non ha alcuna intenzione di farsi intimidire né dal palmarès né dalla personalità ingombrante di Alonso. Finirà a podio in tutte le prime 9 gare della sua carriera, comprese 2 vittorie, le prime nella storia della F1 per un pilota dalla pelle nera. A Barcellona, 4° GP della stagione e della sua carriera, è già in testa al Mondiale. Nella gara dopo, a Monaco, è secondo dietro Nando (che lo aggancia in testa alla classifica Piloti), ma iniziano a emergere i primi contrasti. La gara è dominata dalle McLaren, che doppiano tutti gli altri piloti escluso Massa, ma negli ultimi giri Alonso, che ha un discreto vantaggio su Hamilton, rallenta il passo per preservare quelle pinze dei freni posteriori che hanno spesso avuto problemi di surriscaldamento sulla sua auto. Lewis si avvicina e inizia a mettere pressione a Nando, che deve tornare a spingere per proteggere la sua vittoria. Da un lato, come riporta una fonte interna alla scuderia dell’epoca, Alonso è arrabbiato per aver dovuto rischiare un guasto per vincere una gara che stava dominando. Dall’altro, in un’intervista alla BBC, Hamilton dichiara “ho provato ad attaccarlo, volevo vincere, ma devo accettare che io sono un rookie e lui ha il numero 1 sulla livrea. Sono la seconda guida e devo rispettarlo per il bene della squadra”. Lewis era stato più veloce di Nando nelle libere e pensava che la strategia di gara fosse stata fatta apposta per non farlo avvicinare troppo all’asturiano. La FIA aprirà un’indagine per verificare la presenza di ordini di scuderia, che all’epoca erano vietati. Si concluderà con un nulla di fatto, ma ormai è chiaro come il numero 2 a Hamilton vada stretto e come Alonso non sia affatto contento di avere un compagno di squadra così competitivo. Già che c’è, Nando ne approfitta per litigare anche con altri piloti. Al rocambolesco GP d’Europa, dopo 9 podi consecutivi, Hamilton finisce fuori dai punti e Alonso ne approfitta, superando Massa a 4 giri dalla fine con una manovra aggressiva, conquistando la sua terza vittoria stagionale e portandosi a -2 dal compagno di squadra. Prima del podio, i due si confronteranno in maniera piuttosto accesa e, se vi state chiedendo che lingua utilizzino uno spagnolo e un brasiliano per litigare, sappiate che non è l’inglese.

Tutte queste tensioni trovano la definitiva esplosione nell’appuntamento successivo, in Ungheria. Alonso si vendica di una “furbata” di Hamilton in qualifica e, sostando per 10 secondi sulla piazzola di sosta dopo il via libera dei meccanici, gli impedisce di tentare un ultimo assalto alla pole position, che finirà invece in mano sua. Anzi, finirebbe in mano sua, visto che i giudici di gara gli infliggono 5 posizioni di penalità in griglia, restituendo de facto la pole a Hamilton. Il mattino dopo, Nando è ancora incazzato nero. Va da Ron Dennis (che è stato visto in piazza Aspromonte a comprare 400.000 lire di cocaina gettare furiosamente le cuffie in terra dopo la mossa dello spagnolo) e gli dice chiaro e tondo che si sente vittima, che la sua azione era una mera ritorsione per quanto fatto prima da Hamilton e che vuole che in gara questo torto venga sanato. Qualora ciò non accada, minaccia di fare una cosa che Dennis vuole evitare a ogni costo. Quest’ultimo non cede al ricatto e arriva persino a valutare l’ipotesi di lasciarlo fuori dalla gara. Alla fine, Alonso correrà e arriverà quarto, mentre Hamilton finirà nella stessa posizione da cui era partito, conquistando la sua quarta vittoria stagionale e tornando a +7. Per Nando è la prova definitiva non solo che il top dog non sia più lui, ma che la scuderia stia ora favorendo in maniera sfacciata Hamilton. In fondo è inglese, la McLaren lo sta seguendo da quando aveva 11 anni e la storia del ragazzino locale (per giunta nero) che vince il Mondiale all’esordio sarebbe per loro uno storytelling ben più impattante di Alonso che vince il suo terzo titolo consecutivo.

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Senza più, a suo avviso, nulla da perdere, Alonso tiene fede alla sua parola. Due mesi prima, infatti, la Ferrari aveva denunciato Nigel Stepney, meccanico inglese tra i protagonisti dell’epoca d’oro di Schumacher e, qualche settimana dopo, l’aveva licenziato. Secondo l’accusa, Stepney, insoddisfatto del suo ruolo a Maranello, avrebbe iniziato a fornire illegalmente a un ingegnere della McLaren delle informazioni tanto dettagliate quanto segrete sugli sviluppi della Rossa. La FIA aveva aperto un’indagine ufficiale, che si era conclusa con la tragicomica sentenza secondo cui, sì, la McLaren aveva rubato informazioni riservate alla Ferrari ma non c’erano prove che le avesse utilizzate, quindi reprimenda ma zero penalità. Dopo i fattacci ungheresi, però, Alonso alza la cornetta e chiama Mondial Casa Max Mosley, all’epoca presidente della FIA. Gli dice chiaro e tondo che, in cambio dell’immunità, gli avrebbe fornito tutte le prove che voleva contro la McLaren. Mosley accetta e, a settembre, l’inchiesta viene riaperta “in seguito al reperimento di nuovo materiale probatorio”. Le stesse condizioni di Alonso vengono offerte a Hamilton (che rifiuterà) e al collaudatore Pedro de la Rosa (che accetterà): collaborazione in cambio di impunità. Saltano così fuori una serie di mail in cui, soprattutto i due spagnoli, discutono con gli ingegneri della McLaren di quali delle soluzioni tecniche trafugate applicare sulla loro vettura, perfettamente consapevoli di quello che stanno facendo e della provenienza delle suddette informazioni. L’indagine si chiuderà con una multa da 100 milioni di dollari e l’esclusione dal Mondiale Costruttori per la McLaren, mentre i piloti, come da accordi, verranno coperti dall’immunità e potranno continuare a giocarsi il Mondiale Piloti. A oggi, pur avendoci corso per 5 anni, Alonso non si è ancora scusato pubblicamente né con la Ferrari né con i suoi tifosi per il suo comportamento, né ha mai dichiarato di essersene pentito.

Tornando al Mondiale, Alonso vince a Monza e arriva altre 2 volte davanti a Hamilton, portandosi a -2 in classifica. Il GP del Giappone, invece, ricorda molto quello di 31 anni prima immortalato in Rush: si corre al Fuji e c’è una pioggia torrenziale, tanto che la partenza e i primi 19 giri avvengono in regime di safety car. Anche in questa gara, inoltre, avvengono due episodi chiave. Il primo è il ritiro di Alonso (primo ritiro dell’anno per una McLaren), che, forse tradito dall’aquaplaning, perde il controllo e finisce contro il muretto, in un incidente che ricorda molto da vicino Hockenheim 2018 ma di cui tutti si sono già magicamente scordati. Il secondo è diretta conseguenza di questo episodio. Esce di nuovo la safety car con Hamilton davanti alla Red Bull di Mark Webber e alla Toro Rosso, ovvero l’ex-Minardi acquistata dai “bibitari” e trasformata nel loro junior team, guidata da un ragazzino tedesco, 6 anni meno di Alonso e 2 meno di Hamilton, alla sua stagione di esordio in F1 e capace di andare a punti alla sua prima gara ufficiale, diventando il pilota più giovane di sempre nel fare ciò. Il suo nome è Sebastian Vettel. Succede, quindi, che in regime di safety car Vettel tamponi Webber, causando il ritiro di entrambi. Quando parlo di accanimento mediatico contro Seb intendo proprio questo, visto che tutt’ora ci sono giornalisti, peraltro molto bravi, che mettono questo episodio tra i suoi 10 peggiori errori in carriera. Anche la FIA sembrerebbe pensarla così, visto che a fine gara infligge una penalità di 10 posizioni in griglia a Vettel da scontare nel GP successivo. Peccato che, a seguito della disponibilità di nuovo materiale, la sentenza venga annullata, in quanto appare ora chiaro come a causare il botto sia stato il “dangerous driving” di Hamilton, che ha inchiodato (peraltro sotto la pioggia) e costretto Webber a fare lo stesso per non sorpassarlo in regime di safety car, cogliendo di sorpresa l’ancora inesperto Vettel (so che state tutti pensando a Baku 2017 in questo momento, evidentemente Hamilton ha questo vizietto). Teoricamente, questa mossa di Lewis sarebbe passibile di squalifica o, quantomeno, di penalizzazione, ma diventerà invece la prima di una lunga serie di impunità che ad altri piloti non verranno concesse. In ogni caso, con questa vittoria Hamilton si porta a +12 su Alonso e a +17 su Raikkonen con solo due gare rimaste. Gli bastano 9 punti in 2 gare (quindi un quarto e un quinto posto) per diventare il primo pilota della storia a vincere il Mondiale nella stagione d’esordio, nonché il più giovane e il primo nero. In Cina, Hamilton parte dalla pole e resta in testa per 30 giri, quando le gomme iniziano a degradarsi rapidamente. Il muretto McLaren decide comunque di mantenere la strategia originale, ma Lewis va lungo a una curva e Raikkonen lo sorpassa. Poco male, finisse così la gara, con Alonso in quarta posizione, il Mondiale sarebbe comunque suo. Peccato che, nell’entrare ai box, Hamilton, con la posteriore destra quasi distrutta dal blistering, sottovaluti la stretta curva a sinistra prima del rettilineo e finisca con la macchina arenata nella sabbia. Primo ritiro in carriera per Lewis e, con la vittoria di Raikkonen e il secondo posto di Alonso, Mondiale riaperto.

Alla vigilia del GP del Brasile, Hamilton è a +4 su Alonso e +7 su Raikkonen. L’ultima volta che un Mondiale è arrivato all’ultimo GP con 3 piloti ancora in lizza è stato nel 1986. All’inglese basta un secondo posto per laurearsi Campione, addirittura un quinto se non dovesse vincere Nando. Allo spagnolo, invece, serve vincere con Hamilton terzo o peggio. Per Kimi, l’impresa è disperata, dovrebbe vincere con Alonso al massimo terzo e Hamilton al massimo quinto. Al sabato, tra i 3 litiganti il quarto gode, ovvero la pole va a Massa, con Hamilton secondo, Raikkonen terzo e Alonso quarto. Al via sia Kimi che Nando passano subito Lewis, il quale, per cercare di riprendersi la posizione, blocca i freni ed esce di pista, rientrando 8°. Dopo 4 giri è già 6° ma, poco dopo il sorpasso ai danni di Nick Heidfeld, il cambio della sua McLaren si blocca in folle. Per ben 30″ è costretto a girare di inerzia, poi con l’equivalente dello “spegni e riaccendi”, panacea di tutti i mali informatici, risolve la situazione e recupera il suo passo. Peccato, però, che ne mentre sia finito 18°. Intanto, le due Ferrari hanno fatto il vuoto, mettendo ben 12″ tra loro e Alonso. Raikkonen passa Massa in occasione del secondo pit stop, guadagna la testa della gara e, con il brasiliano a coprirgli le spalle da Nando, si trova inaspettatamente in testa al Mondiale. Alonso viene sorpassato persino dalla BMW di Robert Kubica, ma Hamilton rimonta e, pur essendo a un minuto di distacco da Raikkonen, a 14 giri dalla fine è 9°. Altre 4 posizioni e il Mondiale sarebbe suo. Passano due giri e Hamilton sorpassa David Coulthard, 8° posto e giro veloce. Alonso è di nuovo 3°, ma Massa è irraggiungibile. Hamilton sorpassa anche Jarno Trulli, ma non riuscirà a risalire ulteriormente. Con un solo punto di vantaggio finale sulla coppia della McLaren, dopo essere stato a -17 a due gare dalla fine, Raikkonen sorprende tutti, diventando il primo pilota finlandese a vincere il Mondiale F1, il terzo pilota a vincere il Mondiale al suo primo anno in Ferrari (dopo Juan Manuel Fangio e Jody Scheckter) e il secondo pilota a vincere il Mondiale pur essendo in terza posizione alla vigilia dell’ultima gara (dopo Nino Farina su Alfa Romeo nel 1950, prima edizione del Mondiale F1). Mentre qualche emozione traspira perfino dalla faccia di Iceman, sul podio Alonso fa fatica a trattenere una risata beffarda. Sì, ha perso il Mondiale, ma almeno non l’ha vinto Hamilton e per quest’anno va bene così.

Ovviamente, è impensabile che la coppia scoppiata rimanga insieme anche per il 2008, così McLaren e Renault si scambiano de facto i piloti. Kovalainen viene affiancato a Hamilton mentre Alonso torna a Enstone, dove troverà un altro esordiente come compagno di squadra. Si tratta di Nelson Piquet jr., figlio del 3 volte Campione del Mondo negli anni ’80, che, però, dal padre ha ereditato il nome e poco più. Tra quel “poco più”, sicuramente, non rientra il talento dietro al volante. Anche per questo, si dimostrerà decisamente più docile, rispetto a Hamilton, nei confronti di Alonso. Forse fin troppo. Di cosa sto parlando? Andiamo con ordine. Nel 2008 si ripropone la sfida tra Ferrari e McLaren, mentre la R28 di Alonso si rivela poco competitiva, con Nando che conquista la miseria di 9 punti nelle prime 7 gare. La macchina viene molto sviluppata sul profilo aerodinamico e, pur rimanendo inferiore a Ferrari e McLaren, diventa più competitiva, tant’è che dopo 14 gare giù dal podio, Alonso riesce a vincere il quartultimo GP della stagione, passato alla storia per 3 motivi. Il primo GP di sempre in notturna, il primo GP di sempre nel circuito cittadino di Marina Bay, Singapore, e una brutta storia che vede coinvolto anche Nando. In qualifica, entrambe le Renault sono un’enorme delusione e, il giorno dopo, Alonso e Piquet partono rispettivamente 15° e 16°. Mentre Massa, che nel frattempo è diventato il principale avversario di Hamilton per il Mondiale, sta conducendo la gara davanti all’inglese, dopo solo 12 giri Alonso è il primo pilota a fermarsi ai box. 2 giri dopo, Piquet si schianta contro il muro alla curva 17, il ché, in un circuito cittadino, vuol dire safety car. Con la pit lane che rimane chiusa finché tutte le auto non si sono accodate, ai box succede il pandemonio, con Massa che riparte dalla sosta con il tubo di rifornimento ancora attaccato all’auto, cosa che lo farà rientrare ultimo in pista e che gli costerà anche un drive through. Alonso, grazie al suo pit stop prematuro, riuscirà a impostare la strategia su una sola sosta e, soprattutto, a evitare il traffico delle auto più lente trovatesi davanti a causa della safety car, cosa che, in un circuito cittadino stretto e tortuoso, fa tutta la differenza del mondo. Come accennato, Alonso vince e la stampa loda lui e la Renault per la “tattica brillante” adoperata. Qualcuno, però, va oltre al ritorno di Culonso e inizia a sospettare che l’incidente di Piquet non sia stato così casuale come i diretti interessati dichiarano. Joe Saward, giornalista freelance, sarà tra i pochissimi a citare la cosa, seppur etichettando queste persone come “ciniche” e aggiungendo che “voglio credere che nessuna squadra sia così disperata da ordinare a un suo pilota di schiantarsi contro un muro”. Eppure, secondo la TV brasiliana, il grande sconfitto di giornata, Felipe Massa, avrebbe lanciato qualche sospetto contro Briatore, ma Mosley avrebbe risposto “non si possono avviare azioni disciplinari basate su semplici sospetti”. A fine 2009, dopo un’altra stagione deludente, la Renault licenzierà in tronco Piquet, il quale, un po’ come Alonso con la McLaren nel 2007, vuoterà il sacco alla FIA, fornendo prove del fatto che l’incidente di Marina Bay fu tutt’altro che casuale: gli fu ordinato di schiantarsi esattamente in quel punto e in quel giro, per far uscire la safety car e far vincere Alonso. La Renault verrà squalificata dalla F1 con pena sospesa per 2 anni: tradotto, se entro il 2011 fossero incappati in un’altra sanzione seria, la scuderia sarebbe stata radiata. Briatore verrà radiato a vita mentre Pat Symonds, capo ingegnere della Renault e co-cospiratore, verrà squalificato per 5 anni. Nonostante Piquet abbia più volte sostenuto che Alonso “non poteva non sapere”, l’asturiano non verrà coinvolto nel processo. Da un lato, è chiaro come Briatore e Symonds abbiano cercato di coinvolgere il minor numero possibile di persone, come emerge dai team radio di quel giorno, in cui altri ingegneri sembrano sinceramente stupiti della strategia apparentemente assurda messa in piedi dal secondo. Inoltre, non c’è effettivamente nessuna prova tangibile che dimostri il coinvolgimento di Nando, quindi la sua mancata condanna, dal punto di vista legale, è ineccepibile. Dall’altro, è difficile pensare di organizzare un complotto per far vincere un pilota e non informare il diretto interessato. Inoltre, conoscendo il temperamento di Alonso e le sue celebri lamentele nei confronti dei suoi ingegneri durante tutta la sua carriera, è piuttosto strano pensare che non abbia fiatato quando è stato richiamato ai box dopo soli 12 giri. Infine, qualche malpensante potrebbe financo pensare che, dopo lo Spygate del 2007, si sia fatto furbo e si sia comportato in modo da invocare la plausible deniability qualora la storia fosse uscita. In ogni caso, nonostante questa storia e nonostante finisca il Campionato con il maggior numero di punti nelle ultime 5 gare, il 2008 è un anno deludente per Alonso. Massa andrà vicino a emulare Raikkonen, arrivando all’ultimo GP a -7 da Hamilton, vincendo in scioltezza e superando virtualmente l’inglese, il quale però riuscirà a conquistare il Mondiale all’ultima curva superando Timo Glock, rimasto con le gomme da asciutto sotto la pioggia battente. Piccolo excursus. Nel 2008, Facebook era in ascesa, ma neanche lontanamente popolare e potente com’è oggi. Mi accorsi del suo potenziale proprio dopo il drammatico GP di Interlagos, quando a soli pochi minuti dalla fine della gara, era già nata almeno una dozzina di gruppi intitolati “Timo Glock l’ha fatto apposta” o simili, insieme a uno, di opposta fede e nazionalità, intitolato “Timo Glock should be knighted”. L’inglese, quindi, dopo soli 3 anni batte il record di Alonso e diventa lui il più giovane Campione del Mondo della storia. La beffa, per Nando, è che, senza il casino di Singapore, probabilmente Massa avrebbe vinto la gara e, con quei punti, il Mondiale. Oltretutto, a Monza, correndo sull’erede della Minardi (per quanto sia assurdo fare paragoni in questo senso), Vettel gli aveva soffiato i record per pilota più giovane a conquistare una pole position (tutt’ora da lui detenuto) e a vincere un GP. Per la cronaca, è in quel momento che decisi che il successore di Raikkonen, nel mio cuore automobilistico, sarebbe stato lui.

Alonso rimane alla Renault anche nel 2009, che si rivelerà uno dei campionati più assurdi di sempre. Gli equilibri vengono completamente rimescolati da una serie di nuove regole volte a minimizzare l’impatto della crisi finanziaria dell’anno precedente. Tra le conseguenze di quest’ultima, c’è l’addio della Honda alla F1. Dopo aver dominato da motorista negli anni ’80, nel 2006 aveva provato a lanciarsi come scuderia, rilevando la British American Racing (BAR), di cui erano già azionisti, e ribattezzandola Honda Racing. Nonostante gli arrivi di Ross Brawn e Rubens Barrichello dalla Ferrari e le offerte ai top driver del momento (tra cui Alonso), la Honda si farà notare più per le fantasiose livree che per i risultati in pista (una vittoria e altri 3 podi in 3 stagioni).

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Nel 2009, quindi, la Honda cede ben volentieri a quello che in gergo si chiama management buyout, vendendo il pacchetto azionario di maggioranza a una cordata di manager della stessa impresa, capeggiata proprio da Ross Brawn. Nel pensare al nome della nuova scuderia, si pensa di rievocare quello della Tyrrell, che venne rilevata proprio dalla BAR nel 1998, ma alla fine si propenderà per un molto meno evocativo “Brawn GP”. La poca fantasia nel nome viene però compensata nella progettazione della BGP 01. Interpretando in maniera “estrema” le nuove regole sull’aerodinamica, l’auto viene dotata di un doppio diffusore capace di generare ancora più effetto suolo, aumentando l’aderenza e, quindi, la tenuta in curva. Tra le proteste degli altri team, che considerano irregolare questa soluzione, la BGP 01 di Button vince 6 delle prime 7 gare del Mondiale, dando all’inglese già 26 punti di vantaggio sul compagno di squadra e 32 su Vettel, nel frattempo “promosso” in Red Bull. Saranno proprio il pilota tedesco e la scuderia austriaca i protagonisti della seconda metà di stagione, ma è troppo poco e troppo tardi. La Brawn GP riesce nella storica impresa di vincere il Mondiale (anzi, i Mondiali) al primo anno e, probabilmente, rimarrà l’unica scuderia con il 100% di vittorie in carriera.

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Già, perché nel novembre dello stesso anno, Brawn e soci vendono il 75% delle azioni alla Mercedes-Benz, che ribattezza la scuderia “Mercedes GP” e, per il 2010, ne rivernicia la carrozzeria con il tradizionale grigio argento. Forse per compensare il fatto che la sede del quartier generale sia a Brackley, un quarto d’ora scarso di macchina dal circuito di Silverstone, la Mercedes decide di andare voll deutsch sui piloti. Con Vettel blindato dalla Red Bull, vengono ingaggiati il 25enne figlio d’arte Nico Rosberg e, soprattutto, dopo 3 anni di inattività, Michael Schumacher. Come accennato, la Red Bull conferma Vettel e Webber. La McLaren conferma Hamilton e si riprende il numero 1 sulla livrea ingaggiando Button. Chi manca tra i candidati protagonisti per il 2010? La Ferrari, naturalmente. Dopo due stagioni un po’ sottotono, hanno deciso di dare il benservito a Raikkonen e confermare Massa, seppur reduce da un brutto incidente che gli ha fatto saltare mezza stagione. Forse perché, nonostante il titolo sfiorato nel 2008, è considerato un compagno di squadra maggiormente compatibile con quello che è sempre stato il “sogno proibito” del presidente Montezemolo, che lo voleva già nel 2007. Un pilota che ha vissuto l’ultimo anno sonnecchiando (un solo podio, nono in classifica), ma il cui talento è fuori discussione. Lui vuole una macchina competitiva, la Ferrari un pilota competitivo, entrambi vogliono il Mondiale. Il matrimonio è inevitabile. Non c’è bisogno che vi dica di chi si tratta, vero?

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(continua…)

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